Giovanni era uno di quei medici da cui nessuno vuole farsi curare, per la fama avrebbe fatto carte false e sarebbe venuto anche a patto col diavolo, pur di arrivare. Di certo non si faceva scrupoli, nel suo lavoro era un luminare, ma non si lasciava mai coinvolgere dalle storie dei pazienti, tutto efficienza e freddezza che nascondevano un vuoto interiore. Aveva scelto di diventare chirurgo plastico non per vocazione ma per lo stipendio a fine mese.
Un giorno mentre era in ospedale venne a sapere che alcuni suoi colleghi sarebbero partiti per una missione umanitaria con un’associazione Smile train, con molto disappunto avrebbe dovuto sostituire i suoi colleghi: “Addio sospirate vacanze!” pensò. Non riusciva a capire come mai dei medici così importanti donassero un po’ del loro tempo ai bambini del “terzo mondo”, soprattutto senza essere remunerati. Nonostante questi pensieri decise di collegarsi al sito dell’associazione, e fu un colpo al cuore vedere tutti quei bambini con le malformazioni al volto. Decise così di partire anche lui, non tanto spinto da un ideale umanitario ma di fama.
Finalmente il giorno della partenza arrivò, più conosceva i membri dell’equipe e più si chiedeva cosa ci facesse su quell’aereo, gente motivata e sorridente, colleghi che parlavano con entusiasmo di come avevano visto rinascere bambini e famiglia. Si rese conto ben presto che tutto quell’entusiasmo lo stavano contagiando.
L’ arrivo dell’equipe fu festeggiato da tutti con sorrisi ed abbracci, ora capiva cosa spingesse i suoi colleghi a partecipare a queste missioni, non la gloria, non la fama né i soldi ma consapevolezza di stare compiendo la cosa giusta. In quei quindici giorni si trovò a fare cose che non avrebbe mai fatto in Italia, dividere spazi angusti con i colleghi, lavorare ore e ore senza sosta, senza soldi, condividere abbracci e sorrisi.
Si da quella esperienza aveva compreso una ricchezza più grande e più durevole: quella che nasce dal cuore, un sorriso, un abbraccio, un grazie ripetuto mille volte.
Durante il viaggio di ritorno tutti percepirono un cambiamento nell’atteggiamento di Giovanni, da uomo freddo e distaccato, sorrideva di più, parlava di più e sopratutto aveva imparato a condividere la gioia e il dolore con i propri pazienti, cosa che non aveva mai fatto per paura di farsi coinvolgere emotivamente. A quanti gli chiedevano il perché di tale cambiamento lui rispondeva: “Chi dona un sorriso dona un tesoro”, finalmente aveva compreso che un sorriso ricevuto o donato è un tesoro di inestimabile valore, soprattutto nella malattia e nel dolore.
Niente di più vero: donare un sorriso è una medicina di per sè e non richiede ricetta! Se poi per professione o per vocazione si è vicini alla sofferenza, questo semplice dono assume un valore ancora più importante.
Complimenti hai espresso il concetto in modo semplice e diretto.
5st
Ciao Greta
Il sorriso è veramente importante, hai perfettamente ragione! Io senza l’ironia sarei già morto… 🙂
Grazie mille a tutti!
Ciao, testo molto bello e scorrevole… e hai reso bene il significato… e ho subito riconosciuto la frase per metà, del libro, nelle terre selvagge (into the wild)…