Non è un racconto ma un capitolo di un libro destinato a restare incompiuto…….

Temporeggiai sotto la doccia, l’acqua quasi bollente mi procurava sensazioni piacevoli, rese ancora più intense dalla frenesia che provavo mio malgrado. Avevo sempre sognato di mollare tutto e andarmene in un luogo sconosciuto, lontano, dove nessuno avrebbe potuto rintracciarmi. Un pensiero ricorrente, soprattutto al mattino, mi divertivo a costruire trame, a disegnare scenari che si dissolvevano alla vista del parcheggio aziendale. Un sogno. Quel sogno adesso era realtà, non so come sia potuto succedere, nulla che lasciasse intuire…. caffè al bar, giornali, tragitto tranquillo, anche la città sembrava vivere il clima ovattato degli ultimi giorni d’estate, non so perché, ma davanti all’ingresso invece di azionare il telecomando per aprire la sbarra, ero tornato a casa, avevo buttato qualche indumento nella borsa da viaggio ed ero ripartito.
Una corsa fino alla tangenziale e la ricerca di strade secondarie, luoghi sconosciuti, i rumori della città sempre più lontani, finché esausto avevo parcheggiato vicino a una locanda, un posto dove il tempo sembrava essersi fermato. Non avevo nemmeno guardato l’insegna. Mentre salivo le scale, dell’ascensore nemmeno parlarne, osservai compiaciuto quanto fosse modesta quella sistemazione, la stanza confermò la prima impressione, niente di superfluo, il minimo indispensabile, niente televisione, niente frigorifero, una bottiglia di acqua sul comodino e un mazzo di fiori freschi. Spinsi la porta del bagno con una certa apprensione, invece oltre alla pulizia, ineccepibile come per il resto del locale, un box doccia abbastanza moderno e spazi impensabili se rapportati al resto. Non potei comunque fare a meno di pensare come avrei reagito a tutto questo soltanto ieri, scacciai subito il pensiero.
Il latrato di un cane in lontananza mi riportò per un attimo alla realtà, l’immagine di Franz, il mio amatissimo bastardo, che tentava di leccarmi la mano, mentre mia moglie perplessa e poco convinta delle mie spiegazioni mi guardava mentre mi allontanavo. Anche i tentativi di razionalizzare quei momenti non ebbero effetto, mi sentivo galvanizzato, perfino eccitato; indossai un paio di pantaloni di velluto leggero, un maglione di cashmere nero, un giubbotto di pelle e via quasi di corsa. Non avevo voglia di restare solo. Non era ancora sera, i colori erano quelli caratteristici del tramonto, la strada deserta e poco illuminata era avvolta nel silenzio, pochi passi e un locale affollato all’inverosimile attirò la mia attenzione. I tavoli erano tutti occupati da uomini che giocavano a carte, oltre a quelli seduti, uno per lato, altri in piedi seguivano attentamente tutte le fasi, in attesa che si concludesse il gioco, per poi commentare le giocate. Per la verità, più che commenti erano vere e proprie risse, che si interrompevano, non appena venivano distribuite le carte per una nuova mano. Erano in quattro a giocare, ma in realtà partecipavano tutti.
Fermo davanti al bancone, non riuscivo a capire a chi rivolgermi, sembrava non esserci nessuno di servizio. Guardai con curiosità un capannello di persone raggruppato in un angolo della sala, la visibilità era scarsa per il fumo intenso, difficile distinguere cosa stessero facendo; mi avvicinai, facendomi largo a fatica e mi ritrovai davanti a un tavolo traboccante di salame, prosciutto, pancetta, affettati al momento con il coltello, stesi su fogli di carta gialla e divorati all’istante. Non c’erano piatti, ognuno prendeva quello che desiderava, il tutto rigorosamente con le mani. Il rito comprendeva di tanto in tanto un brindisi con un bicchiere di vino rosso. “Venga professore!” la voce era di un uomo che non avevo mai visto e a nulla valsero i miei tentativi di rifiutare l’invito, perché mi ritrovai risucchiato, con pane e salame in una mano e nell’altra un bicchiere di vino.

Stavo rivivendo sensazioni vecchie di almeno trent’anni, quando, dopo aver supplicato, per tutta la settimana, riuscivo ad ottenere di accompagnare il nonno, alla Casa del Popolo. I ricordi, prima confusi poi sempre più nitidi, il calcio balilla, la fava cotta, la gassosa. La stanchezza di quegli interminabili pomeriggi. Il nonno, era stato una figura importante nella mia vita, avevamo vissuto molti anni insieme, una famiglia tradizionale, lui amava definirla: quelle di una volta. Anche adesso nonostante fosse morto da tanto, i sentimenti erano intatti, forti come allora. Lo ricordavo già anziano, seduto nel cortile di casa, quasi immobile, silenzioso, intento ad osservare il mondo che gli stava sfuggendo. Il nonno non perdeva occasione di dire quanto fosse fiero di me, di quel ragazzo che si era fatto strada nella vita. Non aveva mai ben compreso in cosa consistesse il mio lavoro, ma gli sembrava un lavoro importante, ben remunerato e questo era più che sufficiente per essere contento. Un pomeriggio d’estate, la sua ultima estate, mi fermai per mostrargli l’auto nuova, in cortile, seduto sull’inseparabile sedia di legno impagliata, guardò ammirato la fiammante BMW nera e con molto tatto e qualche imbarazzo, si informò del prezzo, delle condizioni di acquisto e quando scoprì che l’avevo pagata in contanti, il suo viso si illuminò. Un sorriso difficile da descrivere, fatto di felicità, appagamento, soddisfazione.

Un sorriso che avrebbe vissuto per sempre.

“Forza Professore, un altro bicchiere”. La voce mi riportò alla realtà, mi accorsi che la stanza era quasi vuota, erano usciti quasi tutti, solamente in un tavolo si stava ancora giocando, il fumo era così spesso, che non si riusciva a distinguere i giocatori. Una donna facendosi largo, tentava di pulire i tavoli con una spugna e urlava agli ultimi ritardatari di andarsene, fingeva di essere arrabbiata, ma l’espressione e il sorriso la tradivano “Devo lavare per terra, forza, che tra un po’, siete ancora qui”.
Nessuno sembrava preoccuparsene molto, un uomo sulla settantina, uscendo le diede una manata nel sedere e lei, senza indugi, come se tutto facesse parte di un copione, fece roteare la scopa, lo colpì in testa schiacciandogli il cappello, spingendolo quel tanto da farlo finire a gambe all’aria. Tutti si girarono e comprendendo l’accaduto, scoppiarono a ridere. Fu la donna stessa ad aiutare il malcapitato, dicendo che se non imparava a tenere le mani a posto, una volta o l’altra lo avrebbe castrato.

Mi ritrovai a camminare in una strada sconosciuta e quasi deserta, la luna aveva già preso servizio, nonostante il buio tardasse ad arrivare, provai a riprendere il filo dei ricordi, ma la mente non sembrava volerne sapere, fui tentato di telefonare, ma cambiai subito idea, avevo scoperto una dimensione sconosciuta o almeno dimenticata. Incrociai due ragazzi, stavo per chiedere una informazione, ma proprio in quel momento decisero di baciarsi, le parole mi rimasero sulle labbra.

Per un attimo ho provato invidia, ho capito di aver sciupato gli anni più belli a cercare qualcosa che adesso nemmeno saprei distinguere.

Camminai per un tempo che mi sembrò lunghissimo, passando in rassegna la mia vita, liberando l’odio, alternandolo a momenti di tenerezza, lasciando liberi i rimpianti. Non riuscirei a spiegare la sensazione di libertà che provavo. Mentalmente ripassai gli impegni della settimana, niente che non potessi rinviare, per qualche giorno potevo continuare la mia fuga. L’ansia era svanita, nemmeno il pensiero del ritorno mi procurava fastidio.

Non avevo niente da leggere, spensi la luce, sorrisi ripensando al capitombolo del vecchio mandrillo, al sapore di aglio che nemmeno il dentifricio era riuscito a scalfire, mentre pensavo che non avrei chiuso occhio, iniziai a sbadigliare, feci appena in tempo a vedere mio nonno che distribuiva le carte.

3 pensiero su “Un capitolo, uno dei tanti…”
  1. Beh, questa “fuga” ha fatto veramente bene al nostro protagonista! Ogni tanto ci vuole, proprio per riprendere in mano il presente.
    E’ sempre un piacere leggerti.
    5st.
    Un caro saluto.
    Sandra

  2. Ha ragione Sandra, è sempre un piacere leggerti.
    Molto bella l’immagine dei ragazzi che si baciano proprio mentre stava per aprire bocca, c’è una malinconia appena accennata che è però palpabile.
    G

  3. E’ proprio così! A volte cerchiamo a lungo qualcosa di indefinito, e nel percorso perdiamo la cognizione di quel che cerchiamo, tanto che può sfuggirci o rivelarsi lì, sotto il nostro naso.
    Ci sono frasi molto belle in questo racconto, come “un sorriso che avrebbe vissuto per sempre” mi dà l’immagine di un ricordo felice legato ad una persona cara è importante associato per sempre a quell’istante e a quel sorriso che ci scalda il cuore.
    Bravo 5s
    Luxia

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