Camera da letto. Mattina presto. Andrè si alza nel giorno del suo trentatreesimo compleanno.
Si avvicina alla finestra a lato del letto e si ferma ad osservare l’aurora.
Tu che nasci prepotente, astro, tu che imperioso guardi da lassù con occhio immortale. Oh come ti invidio! Tu che non hai bisogno di contare i giorni infiniti, io t’invidio! Al tuo cospetto il mio viso assume il volto di un fiore che si sta spezzando. Lacerato dalle sofferenze che pesano incastrate al mio cuore, lo spirito non può che rovinarsi su se stesso e rimpiangere i giorni in cui il tempo passava felice tra amori folli e pensieri leggiadri. Non ho più la forza di essere colui che intonava il suo canto con quello dei più melodiosi uccelli, o colui che al risveglio ti trovava sempre caldo e amichevole, e che con te scambiava parole profumate di gioia e grandezza. Ho conosciuto le più splendidi passioni, ingoiato frutti più dolci del miele, e attraversato terre così verdi che non avevano bisogno della tua luce per risplendere. Cosa mi ritrovo ad essere dopo tutto ciò? Che cosa è accaduto? In questa giornata che dovrebbe essere di festa ho deciso di restare chiuso nel mio studio. Non vedrò nessuno. Nessuno che possa sbattermi in faccia quella stupida etichetta di festeggiato. Come non vedono che sono affannato! Quasi non respiro. Si, mi chiuderò nel mio studio e lascerò che i miei pensieri eruttino così violentemente da lasciarmi stordito, affinché mi lascino guardare in profondità nel cratere dei miei ricordi e finalmente capire qual è il male che così atroce mi tormenta.
Si veste ed esce dalla stanza. Si dirige verso il suo studio al primo piano. Un mare in tempesta di ricordi assalta lo spirito di Andrè e non gli dà pace. L’uomo è seduto sulla sua poltrona, beve tè caldo, e, immerso nei suoi demoni interiori, scoppia in un pianto liberatorio…
Oh vita! Oh dolce esistenza! Fa che torni il tempo in cui amavo essere me stesso. Fa che la mia voce torni a risuonare nei meandri dello spazio forte e sicura di sé. Aiutami a ritrovare lo splendore che rendeva le mie giornate una festa senza fine, un banchetto delizioso e soddisfacente. Ho ficcato la testa in cose che non erano alla mia portata, lo ammetto! Ho sbagliato! Non ripeterò più questo dannato errore! Lo giuro! Sono stato un impertinente, un irresponsabile, ho degenerato la mia natura! Ora capisco le parole di quel vecchio che mi risuonano pesanti nella testa da qualche giorno:
“Qui si separano le vie degli uomini: cerchi la pace dell’anima e la felicità, credi; vuoi la verità per guida, ebbene, cerca.” Io ho cercato fin troppo. Eccitato all’idea di sconvolgere lo stato delle cose, ho accerchiato la verità, l’ho minacciata e messa in ginocchio. Ecco adesso che sono suo schiavo. Si, suo schiavo! Non si decide a lasciarmi in pace, la pazza! Mi perseguita ovunque io vada, ed è li, all’angolo, che fa la guardia ad ogni mio pensiero. L’immaginazione è venuta meno, la fantasia è morta e sepolta. Come posso convivere con un così scomodo inquilino. Non riesco! Non riesco! Lasciami in pace, crudele compagna, và via!…
I giorni passano lentamente. L’estate è vicina e la vita ovunque si fa più chiara e felice. L’aria è colma di dolcezza al respiro, il sole risplende più bello che mai e la natura rinasce con gioia eterna. Andrè, pensieroso nella sua solitudine, giace allungato sul suo letto. Per lui il risveglio degli istinti più vitali è soltanto un lontano ricordo. È più triste che mai, non riesce a riprendersi dallo stato in cui è incatenato da tempo. Il fisico indebolisce di giorno in giorno, la disponibilità verso gli atri viene meno. Odia avere visite e quel poco tempo che dedica ad una passeggiata, lo passa a nascondersi cercando di aver meno incontri possibili. Stanco delle domande, degli sguardi che hanno intenzioni tutt’altro che amichevoli, delle etichette che si vede stampare in fronte al suo passaggio. Odia questo genere di cose, e soffre…
Finché un giorno, trovandosi a camminare meditando nel suo giardino, non si affaccia in lui il ricordo prepotente delle parole che da bambino aveva sentito dirsi dal nonno materno. Quelle parole così forti, che riempiono lo spazio di mille ere, prepotenti e sicure, fecero presa sull’animo debole di Andrè e svegliarono in lui il vigore di cui una volta era schiavo. Ricordò la sicurezza di quel uomo che ne aveva passate di tante, eppure aveva mantenuto intatta la propria natura. Scampato era centinaia di battaglie, di avventure. Una vita degna di essere chiamata vita. Sul letto di morte aveva chiamato il piccolo nipote, a quel tempo di soli otto anni. Vedendolo triste lo accarezzò più volte in viso, e lo strinse a sé. Non esser triste per me, gli disse, se non lo sono io. Se un giorno dovessi esser triste, non lasciar che ne risenta la tua vita. Niente può né deve arrestare il tuo corso. Ricordati sempre di me e di queste mie parole: non represso, ma libero prova la vita cos’è. Vivi!
Morì con queste parole in bocca nelle timide braccia del nipote, ipnotizzato da quella frase e dalla strana sensazione che gli procurò l’avvenimento.
Sia maledetto il giorno in cui caddi in questo misero stato di depressione. Son forse nato per soffrire? Per patire? Uno come me può forse temere la vita? Al diavolo! Tutto! Mi lascio tutto alle spalle. Sono uomo nuovo! Guarda questo spettacolo di natura! Come si può rinchiudersi in se stessi e dimenticare la straordinarietà che ci circonda! Viverla! Ecco cosa farò! Tornerò trionfante sul palco della vita, e, da vincitore, ne strapperò per me il ruolo di assoluto protagonista.
Euforia, entusiasmo, follia, investono l’anima del giovane. Non si regge più dall’eccitazione. È pronto per l’ultima battaglia contro le bassezze della sua persona.