C’è un’emozione semplice e primordiale nello stare a guardare l’acqua che si infrange con ritmo continuo sulla spiaggia.

Io potrei trascorrere ore ad ammirarne lo spettacolo meraviglioso e sempre uguale. Vi ritrovo qualcosa di ancestrale in quelle onde lunghe, schiumeggianti e rumorose oppure lineari, piccole e silenziose. Un alternarsi continuo e mutevole, sempre diverso e imprevedibile.

Mistero e ovvietà si susseguono nel tentativo di scoprire quale onda per prima e con quale intensità raggiungerà la spiaggia.

E il pensiero vola e cerca di immaginare lo stato d’animo del primo uomo che ha visto, ha temuto, ha osservato e ha scoperto il nuovo in quell’acqua pulita, incontaminata, pura e pronta ad accoglierlo, riconoscendolo, come una madre che attende da tempo il ritorno del figlio.

C’è un posto nel mondo in cui mi sono sentita tutt’uno con la storia dell’uomo e goccia dell’immenso oceano che corre per tornare all’origine, al punto di partenza.

E’ un luogo in cui, per me, fisicità, memoria e immaginazione coincidono; dove ogni avventura ritrova la sua meta, ogni viaggio progetta il ritorno, ogni partenza sospira l’arrivo e l’acqua è protagonista assoluta, promessa di riscatto e di vita.

Penso alla spiaggia di Urk in Olanda, paesino di pescatori che una volta era un’isola dello Zuiderzee dove gli abitanti si dedicavano alla pesca e traevano dal mare il loro sostentamento.

Nei secoli l’operosità della popolazione ha mutato il paesaggio, l’isola è stata collegata alla terraferma ed Urk si affaccia ora sull’Ijsselmeer, il grande lago interno.

Ci sono arrivata la prima volta negli anni Ottanta quasi per caso, seguendo uno di quei viaggi proposti ai turisti che da Amsterdam desiderano occupare qualche giornata libera dagli impegni di lavoro e fare escursioni brevi nei dintorni della città.

La gita in pullman, prenotata in albergo, prometteva la visita all’Olanda storica dei paesini affacciati sull’Ijsselmeer.

Mi attirava l’idea di vedere la diga monumentale che è la più consistente testimonianza della lotta atavica per conquistare nuova terra coltivabile e spazio vitale ai Paesi Bassi.

La nostra guida raccontava in spagnolo la storia della nazione e della possente opera che i monaci medievali avevano avviato nel costruire dighe fatte di tumuli di sabbia per proteggere dal mare le zone coltivate e ci accompagnava nella visita ai luoghi caratteristici che documentavano nel tempo le abitudini di vita della gente del posto.

Quando giungemmo ad Urk ci condusse a visitare il porto, la Kerkje aan de Zee, cioè la chiesetta sul mare, e il monumento ai pescatori.

Quest’ultimo, situato sul punto più alto della costa, vicino alla chiesa settecentesca e protetto da una balaustra che dà l’idea di una terrazza affacciata sull’acqua su cui sono murate le lapidi che riportano i nomi di tutti i pescatori del luogo scomparsi in mare dall’ ‘800 in poi, raffigura una donna che scruta l’orizzonte, con le vesti mosse dal vento.

Il posto è ventoso e quella figura in attesa sembra reale.

Credo che nei viaggi che ho avuto la fortuna di intraprendere con le mete più diverse, nonostante i molteplici luoghi meravigliosi che ho visitato, Urk e quell’effigie femminile che guarda lontano e spera nel ritorno dell’uomo amato, mi abbiano dato il senso dell’essere donna nel corso secoli e della durezza delle condizioni di vita della gente di mare.

Forse perché io stessa sono donna, forse perché appartengo ad una generazione che ha visto per la prima volta le donne chiedere ed ottenere risultati che riconoscessero il loro ruolo ed il loro merito nella società, forse perché ero impreparata a vedere la donna in attesa come protagonista di un monumento ai pescatori, ho avvertito un’emozione unica e grande.

In un momento ho compreso il senso dell’attesa.

La mia mente è andata a tutte le donne che nel corso dei secoli e dei millenni attendevano i loro uomini partiti per le guerre, per le conquiste, per le scoperte, per i commerci, per l’avventura.

O molto più semplicemente per ricercare condizioni di vita migliori.

E mi sono resa conto della precarietà che accompagnava chi partiva: l’incertezza del viaggio, il desiderio di salvezza e la speranza del ritorno.

Al contempo chi restava a casa doveva aspettare, sperare, pregare, andare ogni giorno a vedere se da lontano appariva il viandante, il cavaliere, il navigante partito tempo addietro, di cui non si avevano notizie e che non si sapeva se e quando sarebbe tornato.

Non so se anche ad altri capita di sentirsi figli del proprio tempo e poco portati a riflettere su come la nostra presenza nella storia sia un fatto concatenato ad una lunghissima serie di eventi che portano a noi e come tuttavia, per quanto differenti possano essere le vicende dell’uomo, il modo di sentire sia sempre uguale ad ogni latitudine ed in ogni epoca.

Ecco.

Io mi sono sentita figlia di quella donna ideale che da secoli attende chi ama nel porto di Urk e madre di tutte le altre donne che dopo di me ci saranno e attenderanno, poiché penso di aver scoperto e compreso quel giorno ciò che  tutte e tutti ci unisce, al di là del tempo, nel sentimento inconfondibile che è l’amore, sempre uguale e totalizzante, fonte di speranza e di sofferenza, di appagamento e di riscossa, di felicità e di emozione impareggiabile.

7 pensiero su “Urk”
  1. Emozionante la statua e il pensiero che ne nasce.
    Una riflessione ricca di particolari, che viene da lontano e che mi ha portata altrettanto lontano.
    Brava come sempre.
    st.
    sandra

  2. Guarda questo racconto mi ha colpito molto perché è autentico, puro nella sua limpidezza

  3. Una riflessione profonda. In alcuni tratti così ben descritta da darmi i brividi. Questo racconto aiuta a porre interrogativi su come ognuno di noi percepisce realmente la vita. Condivido la tua interpretazione dell’amore che, al di là del tempo, tutti accomuna e che è fonte di innumerevoli emozioni. Il sentirsi anello di una catena che percorre secoli di storia ancora non mi appartiene completamente ma forse un giorno avrò la fortuna di imbattermi in una scultura ed un ambiente altrettanto suggestivo da regalarmi una così sentita meditazione. Complimenti!
    5st
    Ciao Greta

  4. Sandra, Maren, Greta grazie del modo in cui sapete leggere anche tra le righe cogliendo sfumature che possono sembrare ovvietà.
    Credo che ci siano luoghi dell’anima in cui il senso dell’essere persone assume un significato particolare in modo inaspettato e impensabile; in cui sensazioni, emozioni e convincimenti si fondono per dare luogo a prese di coscienza che poi accompagnano nei giorni a venire.
    Questo volevo comunicare e sono lieta se sono riuscita a dirlo.
    anna

  5. Un racconto ricco di fascino ed emozionante.
    Complimenti Anna e come sempre, 5 stelle.

  6. E’ dura la vita della gente di mare davvero, ed è dura tantissimo soprattutto per chi rimane, come quella donna nel vento, ad aspettare… Bellissimo racconto, emozionante, toccante…

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