L’ospedale era in tilt. Non avevo mai visto tanta concitazione. Ambulanze ululanti, automobili della Polizia e dei Carabinieri, mezzi della Protezione Civile. C’era gente che strillava, ufficiali che impartivano ordini, infermieri e medici che si lanciavano a tirar fuori barelle dalle autoambulanze. Mentre cercavo di entrare per trovare parcheggio, una guardia giurata fece segno di fermarmi con l’aria di chi non vuole sentire repliche. Indicava l’uscita e mi intimava di tornare indietro. Allora, senza pensarci troppo, scesi e mi misi a correre verso l’ingresso del pronto soccorso.
Mia madre mi aveva chiamato mezz’ora prima, e con la voce strozzata dalla preoccupazione mi aveva detto che Alfredo era stato ricoverato d’urgenza dopo un gravissimo incidente.
Entrai nella sala rianimazione, a fatica, e lo vidi. Era completamente bendato e aveva un intreccio di strutture metalliche che gli tenevano in sospensione le braccia. Mi avvicinai per cercarne lo sguardo. Era cosciente, si accorse di me ed ebbe quasi un sussulto. Niente di fronte al mio shock, nel vederlo conciato così! Mi guardava, sofferente, ed io non seppi far nulla di meglio che dirgli: “ Alfredo… che cazzo hai combinato?!”. Allora, per la prima volta in vita mia, cambiai tono di voce e mi rivolsi a lui più delicatamente, finalmente come un amico e non come il solito scostante fratello maggiore: ”Senti molto dolore?”. Mi rispose il medico che stava controllando una delle flebo: “Beh, ora non credo senta dolore. Lo abbiamo dovuto sedare, ha diverse fratture scomposte e quando finirà l’effetto degli anestetici, allora, forse patirà un po’!”. In quel momento entrò nella sala un poliziotto. Chiese se ci fossero parenti, guardandomi come se già sapesse che io ero uno di quelli. Feci un cenno di assenso e gli dissi che ero il fratello. Lui si avvicinò e mi ragguagliò sull’accaduto: “Erano in due, suo fratello ed un amico che ora è in sala operatoria. Scendevano dalla strada dei laghi con lo scooter. Chi guidava ha perso il controllo del mezzo proprio in prossimità della curva del Sassone. Sono caduti e scivolati verso la carreggiata opposta e l’autista di un pulmann di pellegrini tedeschi, per evitare di schiacciarli, ha tentato una manovra che ha avuto conseguenze disastrose! Il pulmann ha sfondato il guard-raill all’esterno della curva, si è ribaltato ed è caduto nel precipizio! Ha fatto un volo di venti metri e ha travolto alcune abitazioni sottostanti. Alcuni passeggeri sono ancora incastrati tra le lamiere, e purtroppo, al momento, abbiamo già registrato quattro decessi!”. Rimasi impietrito. Guardavo Alfredo, che nel frattempo aveva ascoltato. Mi avvicinai quanto possibile al suo letto e chiesi ad uno dei medici quali fossero i danni che aveva subito. “Per il momento abbiamo riscontrato diverse fratture: alcune costole, ulna e radio del braccio sinistro e omero e scafoide di quello destro. Ora stiamo aspettando le radiografie della gamba destra, che pare conciata male. Miracolosamente, dato l’impatto e le condizioni dell’altro passeggero, non ha riportato danni né alla testa né alla colonna vertebrale!”. Due giorni dopo, Alfredo finalmente riuscì a parlare. Con un filo di voce mi disse: “ Patri’… se te lo dico nun me credi!”. Gli feci la domanda più ovvia: ”Hanno detto che andavate come dei pazzi… chi guidava? E poi perché così forte?”. Lui mi guardava confuso: ”Te l’ho detto, nun ce credi… stavamo a scappa’…”. Fece un respiro e continuò: “Eravamo andati al “tarzanino”, pe’ passa’ un po’ tempo e pe’ fasse du’ risate. Stavamo là, se stavamo a fa’ ‘na canna… a ‘n certo punto er Bustina me fa – Aho… Alfre’, perchè nun ce fai Leonardo Di Caprio che affoga, che ce fai ammazza’? – Faceva caldo, e anche se era tardi me so’ buttato in acqua… così, pe’ fa’ un po’ er cazzaro…”. Lo ascoltavo, ma non riuscivo a capire il nesso. Alfredo continuò: “…insomma, stavo a fa’ er cretino in acqua e Mirko e il Bustina da sopra la sponda stavano a ride’ come du’ deficienti. Più ridevano, più io me sbracciavo e strillavo come ‘n coglione!!! Poi, a ‘n certo punto, mentre continuavo a sbraccia’ e a strlla’, te vedo ‘na cosa sull’acqua che arriva a du’mila. Era quasi sera e nun se riusciva a capì che cazzo era… ho pensato a un pesce, n’animale… che ne so! Te parlo de ‘na cosa che sarà durata dieci secondi. Me so’ cagato sotto!!! Er Bustina s’era già tuffato e nun s’era accorto de niente, Mirko se n’è accorto mentre se buttava! Ma ‘sta cosa, a cinque metri da noi, se ferma e… ah Patri’… era uno, un tipo strano…” “Uno? Uno chi? ‘na persona, un uomo?” Gli chiesi. “Sì, Patri’, era uno grosso con una faccia spaventosa, pelato, c’aveva l’occhi de fori. Ce guardava come un matto – a me m’ha fissato e stavo a mori’ – e poi, l’unica cosa che m’è venuta in mente è di chiedere se ce conosceva. Quello – non ti dico che faccia Patri’! – me guarda a me dice che è de Roma. Poi, come se niente fosse, se rimette a nuota’ da dove era venuto. Noi se guardavamo senza di’ niente. Mirko fa: ” A rega’, quello me sa che è un maniaco… Te ricordi Alfre’, l’anno scorso, la pischella de Frascati che è stata violentata? Te ricordi che nun hanno preso nessuno… e che dicevano che toccava sta’ attenti?” ” Beh, semo schizzati fori dal lago, e semo scappati de corsa! Er bustina ha cominciato a corre’, io je dicevo d’annà in caserma, dai carabinieri, ma lui s’era fomentato e annava a palla… te giuro a Patri’, sembrava un sogno, nun sembrava vero! Poi ar Sassone semo scivolati e se semo incollati er pulmann! Che te devo di’…”

 

3 pensiero su “Fuga”
  1. Carino unica cosa… “Allora, per la prima volta in vita mia, cambiai tono di voce e mi rivolsi a lui più delicatamente” potevi dirlo meglio non mi convince
    comunque ottimo lavoro

  2. Ringrazio per i commenti, lusinghieri.
    Mi dispiace che il racconto sia stato pubblicato senza il suo naturale antefatto, e cioè “calma”, altro racconto, precedente, che avrebbe dovuto dare maggior senso a quest’ultimo che, così, appare svuotato del suo significato.
    Grazie ancora per la lettura e le utili indicazioni.
    Walter

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