Questi giorni, stranamente irreali, liquidi.
Forse potrei evitarli se il corpo liberasse i pensieri che per troppo tempo perseverano a mulinare intorno, in una circonferenza di nessuna possibilità.
Il cerchio stringe.
E’ come accasciarsi e sciogliere.
Questo strano vuoto in grembo, come un insetto che abbia scoccato il suo più astuto pungiglione.
Mentre gli umori sono in caduta libera sulla mie divise, piccole gocce spuntano a forza dagli occhi, come nelle tragedie di ripetizioni luttuose.

Questi giorni di casualità così stranamente scoordinate, di sguardi volteggianti per le strade, squali affamati in cerca di parcheggi, dove la memoria è fitta di dislocazioni ed aggiunte.
Così come questa poltiglia d’informazioni che mi sciaborda addosso, da qualche parte del sistema.
Certo, esiste la sicurezza; ma nessun meccanismo è più sicuro dell’anello debole.
Si può imbrogliare e ammuffire in un rendiconto clinico fatale.
Forse tutto è troppo irreale.
Un tempo avevo sete d’osservazioni, adesso non più.
Nello scarno bilancio non c’è posto per le lotterie e le chiacchiere inutili, non cambierà mai niente e l’ammanco sarà depositario solo di povera e umile poesia.
Una sorta d’arabesco incasellato, la cui forma è costituita da un cubismo autonomo e composto di riccioli ed appartati segreti.
Mi chiedo come mai nessuna prima di me, lo abbia notato.
Tempo d’attesa, ma che altro?
Enigmi inspiegabili perché tra tutti i posti possibili, qualcuno si è impiantato innanzi, dove la mente è più aperta alle sfide ed alle leggi astratte del solenne giudizio.

Questi giorni di disordine primordiale dove lo sguardo cade sul gas lacrimogeno per rallentare la presa e ricucire il bordo della calza smagliato.
Mi sono lasciata alle spalle il profumo dolciastro delle orchidee che si attorcigliano sotto i frontoni arcuati all’ingresso e agevolo la fuga di nube tossica ignorando tutte le trame, stampate sulle piaghe del corpo, dopo il sonno notturno disfatto.
Non v’è debolezza nella tridimensionalità di un sogno, a parte il sonnecchiare davanti ad un congegno, in attesa di un’accelerazione inversa.
Abile mossa.
Nella carta calandrata del mio bilancio, non ho sottoscritto gerarchie di voci e di titoli.
Solo uno stato attuale d’impazienza, lo svantaggio che non significa distanza, ma comandamento su chi mi ha impegnata e voluta nella casta disobbediente.

Questi giorni di segnali telegrafici in un mondo irto di antenne, soffoco l’interezza di una visione folle, per comprendere ciò che mi accade dentro.
Incredibile per la mia vista difettosa e stereoscopica, che distingue 1200 tonalità di rosso, ma non riconosce i costituzionali colori.
Saltello senza lamentare tra i balocchi della segreta intelligenza, per inaugurare un pensiero nuovo, in grado di redimermi.
Onoro la legge medesima che regge la libertà d’indifferenza delle anime separate dal corpo, conferendo un effetto eretico e fallace, nella virtù magnanima del tacere.
Ho scelto il rischio in una speranza conciliata da immensi filamenti capillari frammisti, a tela di ragno, nella vegetazione lanuginosa del mio intimo abitacolo.
Il raziocinio che porta a mantenere i denti stretti, senza mai arrivare a capire, nelle forme confuse del gioco, in quale punto ho sfrangiato l’intera anima.

Questi giorni in cui nutro per te un tedio che mai ho conosciuto.
L’acqua che scorre in una fontana di sasso e gli anni incisi sulla levigatezza della pietra.
Attraverso l’esperienza che pure la terra, da me corrosa, può arrecare piacere, rifugio nel mio prodotto finale d’orgia nel puritanesimo.
Perché l’eccesso è un’offesa, in questo cosmo scialbo di colore.
Continuo a rifiutare ed offendere la mia bellezza, esecrando la mezzaluce e le reali conversioni, a prescindere dalle mani grossolane e le cavità ampollose di precetti.

Questi giorni sciolti, che governano la salvezza di un lebbroso, non pretendono miracoli negli interstizi della ragione.
Raccolgono le gocce di fotoni interagenti, per ricostituire il primario grano e sentimento.
Mi avvicino con angosciata idolatria, alla radice infima della metà del viaggio e tutto converge in spasmi istantanei e fluidi, dove rimarrò lontana, aggregata alle estreme montagne o sommersa nella profondità dei remoti mari.
Ronzare sulla tua pena, planando incerta nell’ombroso declivio del grembo, sfioro la plaga rilucente e curva, ammantata dall’ombra della sinderesi.
Perché non posso estendermi oltre la sensibilità, né consento farne rivelazione.
Solo una saudade stupefatta senza parole, dove la più semplice espressione levita in un solo verbo.
Una cellula guasta, imprecazione ignobile.
Ortografia sfacciata ed indisponente.
In questi giorni, stranamente irreali, liquidi.
Il cerchio strozza.
Malamore.

3 pensiero su “Questi giorni”
  1. Come spesso succede ci si conosce attraverso i commenti … Bello, piuttosto complesso, se ti distrai, devi tornare da capo. Se ho intuito giusto .. tu scrivi soprattutto per te stessa, poi puoi anche condividere le tue emozioni. Per me questo é un grande pregio. Se mi sono sbagliato, alla prossima lettura, faccio ammenda.

  2. Sì Ivan. Io scrivo soprattutto per me stessa, per esorcizzare grandi dolori e per esprimere personali riflessioni. Nel mio intimo rapporto subletterario connaturato tra sensualità, ballata e memoria, c’è posto per chiunque abbia voglia di darsi voce e coraggio nelle risposte più scomode e impreviste.
    Chi, come me, è la minoranza che osa molte trasgressioni.
    Per nulla intimidita dalle rappresaglie e i commenti slabbrati che ricevo recupero ogni sorta di ricordo ed emozione, introducendoli nel filo dei miei versi.
    In volo libero, con le mie emozioni.
    Le parole come maglia volatile grigioazzurra che creano e producano un sistema impervio e contorto: i miei stralci di scrittura, la mia vita, poi.
    Scalognata. Grazie per il commento. Ciao.Greta

  3. Ho visitato il tuo sito, ho letto i tuoi scritti, sono rimasto incantato, ti ho conosciuto (come spesso succede) attraverso un commento (Ho sognato Pier Paolo), un commento che, considerato il tuo talento, conserverò gelosamente. A risentirci …

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