In una dimensione sghemba e sconveniente, continuo ad essere pervasa da luci opalescenti, che realizzano i contorni crepuscolari.
Come nella nebbia che rende impossibile discernere i limiti delle cose e nella quale si celano mostri iperbolici, innocui nella loro fantasmagorica essenzialità, partoriti dal mio tremendo immaginario.
Presenze inquietanti, acquattate nei meandri del quotidiano, nei chiaroscuri della coscienza.
Sensi di colpa silenti, radicati nelle stanze del mio abitare, negli interstizi impensati della memoria.
Continuo a brancolare nei mille interrogativi, come un personaggio sospeso e pencolante.
Tutti mi chiedono di seguire la via coerente, mentre io per contrasto, continuo ad amare solo il lato sinistro, censurato, beffardo e stridente.
Le convenzioni mi vogliono sulla strada retta, io invece, ho separato i due mondi e scelgo di appartenere all’inadeguatezza.
Rimango una donna ibrida, che vive attraverso le scale e gli arpeggi di luce e d’ombra e cavalca spuria, tra due nette dimensioni.
Come un’equilibrista tra il basso e materiale e l’alto spirituale.
L’unica e ferrea guardiana e Maestra di vita, che sincronizza le mie linee di confine, le bilance armoniche tra erotismo e purezza, tra sensibilità e sensualità, è sempre la stessa: l’Arte.
Dalla mia memoria primaria e fossile, rivedo la fanciullezza, e tutte le cose che volevo e mi sono state puntualmente negate.
Ogni desiderio si ammucchiava in recessi oscuri, impolverati, tra ombre semoventi.
Mi sentivo assillata.
Le mie domande si scontravano con occhiate oblique, sopracciglia corrugate, e brandelli di frasi. Queste privazioni ferivano ovunque e creavano intorno a me un muro contro il quale battere le nocche delle dita. Rimaneva un suono vuoto.
Cos’era vivere?
Dormire in un sarcofago rosa coperto da un vetro, come avevo letto nella favola di Biancaneve.
Ogni sera andare a letto era una sorda rivolta.
Mi sentivo perduta, sradicata in una dimensione austera e spaventosamente misera di vitalità.
Scricchiolando in questo lastricato di desolazione mi sono abituata gradualmente al rumore ed ho iniziato a cercarlo, seguirlo, bramarlo, sino alla sua vera risoluzione.
Questa antinomia era localizzata nel suo punto di partenza.
L’incontro con la musica.

Rivedo ancora la mia anziana Insegnante di musica, come un Cameo…
Ho iniziato a frequentarla quasi bambina, marinando la scuola.
Almeno due volte la settimana andavo a studiare pianoforte e violoncello nella sua sala di musica, e la compensavo con il pesce fresco, che furtivamente sottraevo il mattino presto, dai panieri di mio padre.
Stasera tutto sta scorrendo davanti agli occhi, mentre sono rapita dalla morbida motilità dell’orchestra che suona.

La rivedo che mi spia tra le pieghe delle tende, incollandomi addosso le sue pupille scure.
Mi chiama: “Vieni, vieni”….

Un corridoio buio che effonde fetore di vecchiume e muffa.
Lei mi aspetta lì, con i capelli grigi e spettinati, il naso aquilino e gli occhi acquosi e imperfetti che non guardano.
La osservo, mentre suona il pianoforte, con la testa un po’ inclinata, come se stesse intensamente riflettendo.

Io sono pervasa da stima e ammirazione e pregusto già i colpetti della mano ossuta sulle mie scapole, se le dita deviano in qualche curva di troppo.
Lei non permette debolezze e credo che un poco mi disprezzi, perché conosce la mia storia e la mia famiglia, un nocciolo zotico con i manifesti pugni chiusi.

Io invece sono carina ed aggraziata, anche se spesso sfrontata e irriverente.

La sua immagine è fatalmente nera, libera da ogni velo d’illusione: è la Natura senza strati.
Lo sguardo da sparviero mi libera il freno dell’illusione e parto dall’oceano caotico della spuma quantica.
La ghirlanda della sua crocchia scomposta corrisponde alla sequenza delle sette note, come un alfabeto sancito che rappresenta la conoscenza, la saggezza e tutte le vibrazioni fondamentali della scala musicale.
E’ dotata di una fascia infinita di dita sottili, come principale strumento d’azione.
I suoi occhi cerulei appartengono al passato, al presente ed al futuro.
Ogni suo cenno è un verbo coniugato.
Nella mano destra regge la bacchetta che indica l’appuntamento delle forze gotiche, l’annullamento della prigionia delle forme.
L’incitamento della sua bocca dissolve ogni pausa, mentre esorta al tempo stesso alla forza ciclica e spirituale.
L’impatto con Lei assume la forma di un’esperienza immediata e mi scuote nel profondo, perché evoca una sonorità viva, piu’ prepotente della voce.
Come una manifestazione divina e contemporanea, assume ogni volta un’espressione nuova, a volte spaventosa, a volte benevola.
Il tessuto spazio/tempo organizza la mia lezione come materia prima.
Scorrono le note.
Il mondo vibra.
E’in pace.
Il cielo si schiarisce, i fiumi riprendono a scorrere nel loro alveo, i venti intrecciano litanie delicate ed il sole riprende a brillare sui quattro quadranti del globo.
Una moltitudine di figure muliebri, si susseguono davanti ai miei occhi, accentuando la rotondità dei seni, la plasticità dei ventri, la sinuosità delle cosce e la rifioritura della vulva che sembra incarnare i ritmi dell’universo.
Nel procedere lento delle battute allontano dai modelli patriarcali la mia avvenenza.

Nessuna donna può offrire quello che questa Maestra può dare.
Quando mi espando in apertura, l’oscillazione avviene spontanea ed il mondo fisico rimane risucchiato in una fatua gabbia seminale.
Lei, come un dolmen megalitico a forma di nido, mi richiama ai suoi ingressi trionfanti.
La melodia annienta ogni energia arrogante e truculenta e non esiste altro Dio, al di fuori di Lei.
L’atemporalità della musica.
Adesso ogni sentimento è un lusso: l’Amore, l’Odio, la Lussuria, la Disperazione, l’Illusione, la Speranza.
Non hanno più niente a che fare con me.
Abitare tutti gli spazi in un tempo binario, sotto la regola sensata e ragionevole del pentagramma.
Le alterazioni sono annullate dal bequadro e mi ritrovo al centro del mondo.

Ai confini di questa maestosa lezione, dove il caos è bandito e la vita è un’eccezione casuale, solo la cellula intonata, riesce a mettere ordine.
Il corpo si spande, si nutre e sopravvive.
Sguinzagliata tra le note, la ragione è costretta ad emergere sotto forma di un’erculea apertura alata, per dominare il pianeta, spinta da una tempra forte e sublime.
Batto i tasti attraverso un sipario di ciglia ed imprigiono la sorte con quello stesso abbraccio, sotto gli occhi d’acqua della Diaconessa del mio Universo appena alluso, pulito, maestoso.

Il suo ricordo magnanimo: frammenti di note cromatiche, di fantasmi ed occhi indagatori.

Un bacio cordiale alla Maestra.
In tutto questi anni, mi sono esercitata con il piano ed il violoncello tra le gambe…

Anche se non ho mai azzeccato una scala, dall’inizio alla fine.

2 pensiero su “Cameo”

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