Io le voglio un gran bene, ma ci furono anni in cui le invidiavo due cose: l’essere di un centimetro più alta di me e avere il bisnonno materno Patriota.
Per il resto, avevamo la stessa età, gli identici capelli lunghi e lisci, la stessa figura sottile, la medesima fisionomia di famiglia e lo stesso cognome.
Figlie di fratelli, legate da un affetto che ci faceva ritrovare con gioia ogni volta, quando ci incontravamo, noi due avevamo quasi tutto in comune, tranne quei due particolari che mi facevano pensare.
Da bambine volevamo soltanto giocare, correre, ridere insieme, confrontarci sulle nostre amicizie e sui risultati scolastici che procedevano di pari passo con la soddisfazione dei nostri genitori, ma crescendo scoprimmo qualche diversità nel nostro modo di essere.
Lei era una ragazza dinamica, con un gran numero di amici, ottima pattinatrice e giocatrice di basket, ma le piaceva anche disegnare e ricamare rivelando una vera inclinazione artistica che la portò poi a operare professionalmente nel campo della moda.
Io mi davo alla ginnastica, ma frequentavo una scuola tutta al femminile e crescendo mi ritrovai più riservata, a momenti introversa.
Leggevo, studiavo e desideravo solo diventare presto adulta pensando che così avrei potuto affrancarmi dall’insieme di regole che governava la mia giornata.
Quando raggiungemmo i quattordici anni, in un giorno di chiacchiere e confronti, mi riscoprii alta un metro e sessantanove centimetri, uno in meno del metro e settanta di mia cugina la quale dichiarò trionfante che, se lo avesse desiderato, da quel momento avrebbe potuto aspirare al mondo delle mannequin, come si diceva allora, mentre io, se non fossi cresciuta, ne sarei stata immancabilmente esclusa.
La cosa non avrebbe avuto alcuna importanza nella vita di una ragazzina di quel tempo, se il terzo fratello dei nostri padri non fosse stato un sarto alla moda, cosa che ci faceva vivere a contatto con il mondo artigianale e creativo.
L’idea di esserne fuori fu per me una delusione.
Scoprii che mia cugina e io eravamo diverse, una più alta e una più bassa.
Quella bassa ero io.
Per qualche tempo mi misurai contro lo stipite della porta della mia camera da letto con molta speranza.
Niente.
Il miracolo non ci fu.
Non crebbi.
Ero un metro e sessantanove centimetri e tale rimasi negli anni, finché il tempo non mi suggerì accorte soluzioni per rimediare alla mancanza: le scarpe con tacco su cui camminavo con incedere disinvolto e la convinzione che alla fin fine non volevo affatto diventare una mannequin.
Mi piaceva perdermi nei libri e in tutto quanto si nascondeva nelle parole lette e scritte.
Del “suo” bisnonno patriota presi coscienza all’incirca nello stesso periodo, quando nel ’61 celebrammo il Centenario dell’Unità d’Italia.
A scuola ritagliavamo gli articoli di giornale incollandoli su quadernoni che le nostre insegnanti controllavano per misurare diligenza e sensibilità patriottica.
Disegnavamo bandiere e avevamo imparato che il rosso, simbolo del sangue versato, sventola, mentre il verde è dalla parte dell’asta.
Avevamo svolto il tema “Garriscono al vento i sacri vessilli della Patria” esprimendo tutta la commozione che la vista della Bandiera suscitava nei nostri giovani cuori.
Avevamo marciato in palestra al ritmo dell’inno “Fratelli d’Italia”, scandendone bene le parole e avevamo imparato anche il coro del “Va’ pensiero” in onore del grande Verdi (viva Verdi, cioè Vittorio Emanuele Re d’Italia).
Avevamo perfino assistito al musical “Rinaldo in campo” con Modugno, Delia Scala e Pannelli, nonché Franco e Ciccio, interpreti strepitosi.
Ma mia cugina si vantava del “suo” bisnonno materno, eroe delle Cinque Giornate di Milano e mi indicava il quadretto appeso nel salotto di casa sua, con l’immagine dell’eroe e le medaglie; io non sapevo perché nessuno dei “miei” bisnonni personali si fosse egualmente distinto a quell’epoca e mi chiedevo perché a casa mia non ci fosse un quadretto simile.
Dov’era la differenza?
Se non fossimo arrivate all’anno faticoso della Maturità e alla rielaborazione della storia nazionale e se a scuola non avessi dovuto pormi tante domande seguendo le lezioni di un’insegnante calabrese catapultata al Nord che ce l’aveva con tutti (gli antichi Romani conquistatori della sua Terra e imperialisti, lo Stato, il Nord, i ricchi, gli ignoranti, la Polizia, la Chiesa) e forse anche con Domineddio e che parlava e riparlava di Marx, di Questione Meridionale, di Viet Nam (e mi sono sempre chiesta come fosse finita a insegnare in una scuola di monache), non mi sarei ben resa conto che in quel centimetro di altezza che io percepivo come un segno di differenza tra me e mia cugina, era nascosto il senso della storia d’Italia.
Noi apparteniamo, infatti, a famiglie di antenati che non si conoscevano, che non sapevano che si sarebbero incontrati nei loro figli, nei loro discendenti, nelle due ragazze che eravamo allora, così simili anche se appena un po’ diverse.
Già, perché in quel Quarantotto c’è il senso di tutto ciò che accadde fino a noi.
Mentre il “suo” bisnonno materno combatteva sulle barricate milanesi e, a Unità avvenuta, si ritrovò insignito di medaglie che lasciò a suo figlio e questi a sua figlia e presto finiranno nel Museo del Risorgimento cittadino, non avendo mia cugina, ultima discendente, eredi a cui lasciare il ricordo, il “mio” bisnonno materno a centinaia di chilometri di distanza nel Granducato di Toscana partecipava ai Moti.
Negli stessi anni il “nostro” comune bisnonno paterno, nato nel Regno delle Due Sicilie, si salvava fortunosamente dalla lotta familiare per un’eredità Borbonica che alla fine gli fu sottratta.
Col passare degli anni, la vita dei nostri avi si incamminava su strade nuove: il Toscano e suo fratello, fedelissimi dei Savoia, si trasferìrono a Sud contribuendo con le loro attività di giudice e di speziale alla piemontesizzazione del Nuovo Regno Unitario, mentre l’Eroe settentrionale, abbandonati i panni del giovane combattente, avviava la sua attività commerciale di uomo maturo. Nel contempo il mancato erede borbonico, moderno, avveduto, con un’opportuna scelta matrimoniale e professionale ricomponeva le sue fortune.
Sappiamo che nella vita degli uomini non esistono i momenti di calma piatta, tanto meno nelle storie di famiglia.
Sia le morti precoci, in epoche in cui vivere era una scommessa, sia le partecipazioni a guerre di conquista per costruire un Impero, figlio del suo tempo, sia, infine, le vicissitudini politiche che sconvolsero il Mondo e la nostra Nazione nel Novecento, hanno lasciato il segno e hanno ricondizionato la vita di tutti.
Così, coinvolte negli avvenimenti di quegli anni in cui anche solo il colore di una cravatta faceva un rivoluzionario e l’assistere alla grave ingiustizia contro altri Italiani, di altra fede e inermi, condizionava le coscienze, anche le nostre famiglie nelle diverse parti d’Italia in cui vivevano, videro i loro giovani trascinati nel vortice dei cambiamenti fino all’incontro finale per ritrovarli tutti, e dalla stessa parte, pronti a sacrificarsi per l’unico comune ideale di giusto rinnovamento e libertà.
Nelle mie riflessioni giovanili compresi che il Patriota dell’Ottocento non era molto diverso da tutti gli altri nostri antenati di famiglia, uomini e donne forti, come potevano essere solo coloro che sopravvivevano alle difficoltà immense del vivere passato.
Molti altri Italiani, ripensando alle loro storie familiari, potranno forse riconoscersi in questa piccolissima epopea.
E non mi stupiscono le attuali proclamazioni di appartenenze diverse, perché io stessa mi sento parte in causa: la Storia nei fatti fa gli Italiani membri di una grande confederazione espressa in un’unica nazionalità.
La realtà degli avvenimenti nella tradizione familiare contribuisce a dettare il senso delle rivendicazioni locali.
Centocinquanta anni nella storia degli uomini sono un soffio del respiro dell’umanità, ma per noi che ne siamo coinvolti, che ne siamo figli, che ne ereditiamo la memoria, sono parte fondamentale del nostro ricordo e delle nostre persone.
Chi non sarebbe orgoglioso di essere a conoscenza che un proprio antenato ha partecipato con patriottismo alla nostra Storia? Tutti lo saremmo. Io, nella mia famiglia non credo di averne alcuno, ma come Tu, carissima, sono pienamente convinta che ognuno di noi ha partecipato vivendo la propria vita onestamente, lavorando, adoperandosi per gli altri, con sacrifici, sapendo “fare” quando mancava anche il necessario, con i propri comportamenti dando validi insegnamenti alla propria famiglia.
Veniamo da una Terra Giovane, ci dicono, ma io tanto giovane non la vedo se penso a Dante, per esempio…
Siamo tante Regioni, con tutte caratteristiche diverse, spesso rimane anche difficile calarci nei disagi dell’una o dell’altra, abbiamo anche caratteri diversi, in una Terra conquistata, conquistatrice ed oggi forse un po’ zoppicante, ma dobbiamo farcela gli uni per gli altri, lo Stivale è bellissimo e questi Italiani, un po’ pasticcioni, artisti e goderecci, hanno sicuramente una grande componente che li unisce: la generosità, e la solidarietà che nasce spontanea nei nostri cuori come DNA. Perchè non lavorare per contribuire a un’Italia migliore? Magari, con programmi migliori. La stessa terra è generosa, chiede soltanto di saperla gestire.
E’ un bel pezzo il tuo, cara Anna, e quando pubblichi, il tuo è un appuntamento con la Storia.
Ieri, 17 Marzo, festeggiamenti per i 150 anni dell’Unita d’Italia, tanto tricolare ha sventolato nelle case, oggi ancora sventola e domani?
Per me è dentro il cuore, e pur riconoscendomi Toscana e dai modi di fare diversi da un italiano del Nord o del Sud, io sono consapevole che la lingua è una sola, l’orgoglio è uno solo, il lavoro poco per tutti, sopratutto in questi tempi di svolta mondiale e di forti disagi, ma il linguaggio del Dialogo va imparato velocemente, casomai qualcuno fosse rimasto indietro…, perchè conviene a Tutti.
Viva l’Italia e grazie a tutti gli Italiani di ieri, che ci hanno consegnato la Storia e a quelli di oggi, per avere il coraggio di andare avanti degnamente.
5st.
Sandra
Sì, Sandra, siamo in cammino.
Possiamo far tesoro di un glorioso passato e lasciarne l’eredità ai nostri discendenti.
Tutto, però, passa attraverso la convinzione che nulla mai è regalato dalla sorte, ma viene costruito dall’impegno personale.
Grazie.
anna
p.s.: oggi, 18 marzo, nel 1848 cominciavano le 5 Giornate di Milano.
Bene, ma adesso avanti avanti avanti, bisogna dare uno scossone a questo paese, rinnovamento, ecologia, trasporti alternativi, e tant’altro.
Avanti………
Un abbraccio 🙂
Uno scritto molto bello, dedicato alla nostra Italia, Italia che dovrebbe essere curata di più, perché è un paese che potrebbe fare invidia a tanti.
Brava anna e tanti complimenti in compagnia di 5 stelle.
Per Davide e Lucia:
Sì c’è molto da fare…
Siamo, come tanti, un Popolo in cammino.
Tra le cose lette e tra i discorsi ascoltati, quello che più mi ha colpito è stato quello del Presidente Kennedy che per primo disse ai suoi Compatrioti: non chiederti ciò che la tua Nazione può fare per te, ma ciò che tu puoi fare per la tua Nazione.
La risoluzione dei problemi passa spesso attraverso un cambio di visuale.
Un abbraccio
anna
Anna, perdono, mi ero persa questa perla!
Ho letto con gusto questo tuo “inno”, e l’ho adorato, come tutto quello che scrivi
un abbraccio e 5 stelle
Tilly
E’ stato emozionante passeggiare tra ricordi di famiglia e riflessioni che da una dimensione personale hai magistralmente saputo trasformare in un racconto sul senso di appartenenza di un popolo (fatto di uomini e donne, ciascuno col proprio bagaglio di vita). Personaggi e persone che si intrecciano alla Storia e contribuiscono alla nascità di un’identità collettiva. Augurandoci che nessuno se ne dimentichi mai…
Brava, come sempre, Anna!
Katia
Mirabile come sempre… C’è tanto da fare nel nostro Paese e come dici tu la cosa che dobbiamo capire è “non chiederti ciò che la tua Nazione può fare per te, ma ciò che tu puoi fare per la tua Nazione.”
Grande Anna!
Per Tilly, Katia e Giuseppe Antonio:
Carissimi,
grazie per aver letto e apprezzato.
La grande storia è fatta da tanti piccoli gesti individuali e un popolo è l’insieme di tante persone.
Le grandi vicende si ripercuotono sui singoli.
Ognuno di noi è testimone degli eventi, li vive, li fa propri e li tramanda.
Un abbraccio a tutti.
anna
Un po’ in ritardo, ho anch’io qualcosa da dire:
1) Il brano è notevole (cinque stelle) dal punto di vista storico e per la sua italianità. I precedenti nove commenti mi hanno alla fine commosso. Sapete che io, nato a Palermo, non mi sono mai sentito siciliano, ma Italiano? E senza ombra di dubbio.
2) Ho anch’io il mio antenato patriota, un garibaldino campano, che forse si chiamava come me, o Giacinto Fiorenza come mio padre. Lasciò una camicia rossa e forse una spada, poi disperse.
3) Esiste da queste parti un monumento dimenticato, in località Pianto Romano di Calatafimi, dove i resti di giovani patrioti, liguri, lombardi, toscani, napoletani e siciliani, riposano insieme dopo aver vinto, con i sopravvissuti, una battaglia disperata.
4) Per migliorare l’Italia secondo me c’è una sola via: non scendere mai a compromessi. Io e i miei figli l’abbiamo fatto. Senza essere patrioti.
Grazie del tuo bel commento, Michele, perchè anche tu testimoni il fatto che siamo tutti figli di un’epoca in cui un vento di idee ha cambiato la storia.
Grazie.
a.