Questo racconto è stato già pubblicato sulla rivista cartacea Il Leviatano diretta da Giorgio d’Ausilio, numero 3, Settembre-Ottobre 2010, pp. 29-31.

Stavano per arrivare alla loro meta, un vecchio maniero antica dimora del conte di Tenloone. Lucy era stata previdente ed aveva messo nella sua borsa, nel caso fossero servite, due ombrelle: una per lei e una per il fratello che stava viaggiando con lei. Era una grande appassionata di romanzi gotici ed era affascinata da ambientazioni medievali, torri, castelli e rovine. Aveva deciso di recarsi a visitare l’antica dimora del conte di Tenloone che rispondeva bene ai suoi modelli di ricerca. Il fratello, David, aveva accettato tacitamente di accompagnarla: era, infatti, muto dalla nascita. A dispetto di questo Lucy era in grado di poterlo capire in ogni suo pensiero, desiderio e necessità. David aveva deciso di accompagnarla per evitare di rimanere a casa da solo.

Stava piovendo copiosamente e, mentre David si affrettava a prendere le ombrelle dalla borsa delle sorella, Lucy era fremente per il fatto di aver avvistato l’antico maniero sulla collina. Non era molto distante: mancavano pochi altri passi di cammino. David diede un colpetto sulla spalla della sorella per farle vedere di aver appena aperto l’ombrella e per invitarla a coprirsi. I fratelli s’incamminarono sotto la pioggia coperti dall’ombrello. Seguirono un sentiero battuto fra le alte felci, al termine del quale salirono degli alti scaloni di roccia di differente misura, alcuni dei quali rovinati dal tempo.

Il maniero del conte era noto non tanto per il suo sfarzo e la ricchezza delle suppellettili ma per un’antica leggenda che narrava della sanguinosa morte della contessa, Lady Tenloone, moglie del conte, avvenuta almeno trent’anni prima. Quasi tutte le cronache dell’epoca avevano evitato di riportare quella tragica notizia ma velocemente si erano diffuse cattive voci che parlavano del conte come massacratore della moglie, una giovane donna di lignaggio gallese. Dopo quel massacro, il conte aveva lasciato tristemente la sua casa dopo essere stato assolto dall’accusa di omicidio in un simulacro di processo. Nessuno aveva più saputo niente di lui, quasi sicuramente era morto. Erano passati troppi anni. Le chiacchiere del popolo erano ben presto divenute leggenda: l’antico maniero era luogo maligno e nefasto, il conte aveva assassinato sua moglie massacrandola con l’utilizzo di una delle spade da lui collezionate. Secondo la leggenda popolare, chi si avvicinava alla piccola fortezza, vi entrava, o semplicemente desiderava potervi entrare, andava sicuramente incontro alla morte. Lucy ovviamente era a conoscenza di tutto questo ma forse non credeva nel vero senso delle parole di queste storie che riteneva leggendarie e frutto del genio di gente annoiata. Non era impavida, era solo curiosa. Niente l’avrebbe osteggiata.

Giunti dinnanzi al maniero, anche Lucy rimase senza parola. Il castello era in evidente stato di rovina e di abbandono: alcune torri erano fortemente danneggiate e in alcune parti del tetto si scorgevano delle rotture e parti delle vecchie travi. Il castello era costruito secondo la vecchia maniera di costruire castelli, con grandi massi biancastri di diverse dimensioni, tipici della zona. Anche la facciata principale evidenziava una sorta di deterioro del maniero con vistose crepe che minacciavano un’imminente pericolo. Al maniero si accedeva semplicemente: l’antica cancellata tipica delle residenze nobiliari qui non era presente; un piccolo vialetto in ghiaia bianca fronteggiato da prominenti e minacciosi cipressi conduceva all’entrata della dimora. Approssimando il passo verso la porta d’entrata David si fece scuro in volto, segno di una grande paura dovuta al luogo sinistro in cui si stava trovando.

Il portone d’entrata era in legno semplice e portava fenditure, crepe e segni dell’attività di tarme. Lucy, come se si trattasse della propria casa, afferrò il pomello dorato del portone ed entrò nel castello con disinvoltura. Era già dentro quando si accorse che David era rimasto ancora al di là della soglia, tanta era la sua paura di entrare. Invitò il fratello ad entrare e quest’ultimo, intimorito, le se approssimò quasi tenendola per braccio.

Quello che in tempi remoti avrebbe dovuto essere il salone principale della casa nobiliare era ora, alla vista dei due fratelli, un luogo ricco di contraddizioni. Sul massiccio tavolo in legno un vecchio candelabro con delle candele scolate era al fianco di un quotidiano di alcuni giorni prima; sulla poltrona riccamente decorata in fili dorati (forse la stessa poltrona del conte) erano appoggiate delle carte dell’involucro di un gelato, recentemente ivi consumato. C’era qualcosa di strano: la villa era per tutti disabitata ma al suo interno c’erano dei chiari segni di una presenza recente.

Una piccola porticina conduceva ad una grande sala finemente decorata che probabilmente era stato il Santa Sanctorum del conte: la sala delle armi. A fianco della porta d’entrata due armature con pennacchio vigilavano la sala. Si trattava di una delle più grandi collezioni di armi da guerra posseduta dai nobili del regno. Le armi erano disposte in maniera appropriata secondo il loro genere: da una parte le lance (tra le quali si disgiungevano quella argentata e una particolarmente rovinata che probabilmente era stata la privilegiata dal conte) dall’altra parte della stanza le spade, gli spadini, le sciabole e i pugnali: ognuno di essi raccontava una storia e tutti luccicavano come se venissero puliti ogni giorno. Era la presenza stessa del conte in quella casa. Nella loro disposizione si poteva osservare la grande cura e meticolosità del conte stesso.

Alcune spade erano semplici armi da combattimento, altre presentavano nell’elsa ricche decorazioni e gioielli incastonati. Queste ultime molto probabilmente venivano utilizzate dal conte in momenti di festa, in celebrazioni e avevano come solo fine quello di mostrare il suo prestigio. Lucy per la seconda volta in poco tempo, si ammutolì, tanta era stata la sorpresa e la meraviglia provata di fronte a quell’armamentario. Durante la sua attenta contemplazione delle armi da guerra, sfociata nelle sue fantasie di come il conte se ne era servito, di come aveva vinto altri nobili, si era resa conto che erano appena accaduti, forse simultaneamente, due fatti sconcertanti. Era rimasta fortemente sconvolta dal fatto che una spada risultava mancante: tra le varie spade rimaneva infatti una fenditura che segnalava un’omissione nella collezione del conte. Mentre cercava di spiegare questo fatto nella sua mente, si accorse di un’altra mancanza: suo fratello.

David sembrava scomparso. Lucy prese a chiamarlo ma non ci fu nessuna risposta: il fratello era muto. Continuò a cercarlo nella sala delle armi cercando di poterlo sentire nell’atto di far rumore con qualche oggetto, ma non udì niente. Il salone delle armi era molto lungo e scarsamente illuminato, cosicché Lucy decise di prendere un piccolo candelabro a portata di mano. Lo accese e lo portò con sé. Su entrambi i lati maggiori del salone c’erano una serie di portoni in legno e portoncini piccoli che conducevano ad altrettante sale, padiglioni ed aree del castello che, anche agli occhi di Lucy, stava diventando sempre più minaccioso e inquietante.

Lucy si affrettò ad aprire la porticina che le restava più vicino. Notò che era chiusa a chiave e che non sarebbe riuscita ad aprirla. Tentò con la successiva. Era aperta. Si fece strada con la luce del suo candelabro poiché la stanza era completamente buia e non aveva finestre. Si trattava di una stanzetta ovale abbastanza piccola che conteneva oggetti religiosi. Notò subito un crocefisso in legno intarsiato alla cui estremità un topo stava rosicchiandone qualche scheggia. Di dietro, c’erano alcune panche in legno profondamente rovinate dagli insetti. Notò altri oggetti religiosi ma non stette molto ad osservarli, perché stava cercando suo fratello. Pensò solamente che in quella piccola cappella, forse, la contessa aveva pregato o recitato qualche rosario mentre suo marito, nella stanza adiacente, stava trattando di questioni militari con i suoi uomini.

Si lasciò quella stanza ovale alle spalle e ritornò al salone delle armi. Proseguì per il salone ed entrò per una porticina che si trovava al fianco di un vecchio caminetto in marmo e porfido, dagli angoli smussati, forse da qualche colpo incauto di qualche spada. Anche qui era completamente buio e Lucy si avvalse del suo candelabro acceso. Nella stanza era presente un baule in legno con delle grandi aperture di metallo. Decise di aprirlo. All’interno erano riposti, in maniera non molto ordinata, degli arnesi da officina tra i quali una serie di coltelli a serramanico e forbici. Lucy chiuse e continuò a chiamare suo fratello, nel caso l’avesse sentita. Notò poi, quasi per caso, che nel pavimento di questa stanza era presente una botola. Decise di aprirla e si introdusse in quella stanza sotterranea e misteriosa attraverso delle scale in legno molto ripide. Appena messo piede in questa stanza sotterranea il coperchio della botola si chiuse improvvisamente facendo echeggiare un rumore sinistro, come se qualcuno l’avesse colpito con violenza e presunzione. Lucy considerò che d’ora in poi le sarebbe stato impossibile ritornare alla sala delle armi, dalla quale era venuta e cominciò a temere il peggio. All’interno di questa stanza sotterranea faceva particolarmente freddo e a volte si sentivano degli strani fischi, come se ci fossero state delle folate di vento. Le candele si spensero. La disperazione di Lucy accrebbe a dismisura e mentre cercava a tastoni di poter localizzare una porta o un’uscita, casualmente premette le mani in una parete della stanza, costituita da mattoni. Le sue mani avanzarono e inaspettatamente le si aprì un varco nella parete, come un perfetto trabocchetto di un film d’azione.

Seguì per l’unica via che, quasi provvidenzialmente, le si era appena aperta davanti. Un’ulteriore stanza, questa volta illuminata da una serie di candele minacciava la presenza di qualcuno pronta ad attenderla. Su di un tavolino grezzo erano presenti una serie di coltelli affilati, a seghetta e a larga lama. Entrò nella stanza con molta paura. All’interno della stanza vide, di spalle, un uomo esile e tremolante nell’atto di compiere un’operazione meticolosa. Notò poi vicino al vecchio suo fratello imbavagliato (inutilmente) e legato ad una trave di legno completamente nudo. Il vecchio stava per fargli del male. Lucy, esterrefatta, cominciò ad urlare come una pazza e il vecchio si trovò spiazzato. Le disse di non avvicinarsi altrimenti avrebbe torturato sotto i suoi occhi il fratello. Lucy era completamente irrequieta, impaurita e impotente. Assecondò il vecchio di non avvicinarsi a liberare il fratello e, sempre sotto minaccia delle sue armi, riuscì a intrappolare anche Lucy. Il dramma stava per consumarsi. Chissà per quale motivo il vecchio era in procinto di utilizzare tanta efferatezza. L’anziano omino dalla folta barba bianca era coperto da un mantello blu che gli copriva anche le scarpe e indossava uno strano cappuccio a cono interamente di colore rosso. Si avvicinò a David e con una lama lucente lo ferì più volte al costato, non in maniera molto profonda. Mentre il sangue cominciava a colare dal suo corpo la sorella piangeva ed urlava in maniera straziante. Il vecchio si avvicinò poi a David con uno strano strumento a manovella (forse frutto della sua invenzione) al quale era collegato una lama circolare affilata. Approssimò il piccolo apparecchio alla testa di David ed azionò l’apparecchiatura facendo girare molto velocemente la manovella per dare maggiore velocità alla lama. In questo modo mozzò le orecchie a David. Mentre il sangue sgorgava in maniera copiosa dalla sua testa e dal costato la sorella, pietosa e afflitta, non poteva non guardare alle orecchie mozzate di David che si trovavano a terra, a poca distanza l’una dall’altra.

La tortura del giovane non era ancora finita poiché l’anziano massacratore si apprestava a prendere dal tavolo uno strumento diverso che probabilmente sarebbe servito per sortire un effetto diverso dai precedenti. Il vecchio afferrò uno spadino lungo e fino, molto affilato e colpì David al torace trapassandolo. Poi riconficcò questo piccolo palo in ferro nel torace più volte ed infine lo squartò, così come si fa con un pollo. La sorella, nolente, assisteva allo spettacolo cruento del fratello che forse lei avrebbe replicato da protagonista. Mentre David aveva degli ultimi spasmi molto forti e stava spirando, il vecchio assassino estraeva dal suo ventre gli intestini.

Il vecchio era tutto preso da questa attività e Lucy, seppur fortemente scossa, cercò di sfruttare il momento: riuscì a dimenarsi e a slegarsi dai lacci che il vecchio le aveva precedentemente messo. Mentre la donna fece per scappare, il vecchio se ne accorse e, velocemente, prese la più grande spada a portata di mano e la colpì duramente alle gambe, spezzandogliele e privandola della possibilità di camminare. Prima di essere colpita nelle altre parti del suo povero corpo l’ultima cosa che Lucy pensò fu che quella spada, con la quale stava per essere massacrata, era, probabilmente, la spada di cui aveva notato la mancanza nella collezione del conte. Il vecchio si scagliò con grande violenza contro di lei: dopo averle letteralmente spaccato le gambe (un piede si trovava almeno due metri dal suo corpo), il vecchio le diede un colpo talmente forte alla testa che, di fatto, gliela recise dal corpo.

La leggenda del conte massacratore continua ancor oggi ad essere tramandata.

LORENZO SPURIO

24 pensiero su “Le spade del conte”
  1. BRRRR, che brividi…!
    Non amo i racconti horror, soprattutto se ricchi di particolari, ma per i cultori del genere questo testo sarà piacevolissimo.
    …E leggendo, i brividi aiuteranno a passare queste giornate calde meglio che sotto il getto dell’aria condizionata.
    Benvenuto, complimenti e 5 stelle.
    anna

  2. Un bel racconto, ben scritto nei suoi particolari, ricco di suspense, un finale non scontato, una fantasia ricca che invita a ingorda lettura.
    Bravo.
    Ben arrivato e 5 st.
    Sandra

  3. Davvero una bella storia. Giusta da eseguirci una bella sceneggiatura. Sono uno scrittore di sceneggiatura. Che ne diresti di mettere giù la sceneggiatura? Ciao daniele-modena
    danieleravaioli65@live.it

  4. Grazie a tutti per i commenti, soprattutto ad anna e sandra! In effetti è uno dei pochissimi racconti noir che abbia mai scritto…
    @ daniele –> ti contatto in privato e ne parliamo.
    Buona serata a tutti

  5. Ripeto, visto che forse il mio commento precedente non è arrivato (diciamo…): ci sono errori di grammatica evidenti e ripetizioni continue, segno di un vocabolario povero. Imparare almeno la sintassi, prima di scrivere, direi che sarebbe opportuno…

  6. Ciao pippo.
    I commenti servono tutti, anche quelli negativi, l’importante è che vengano fatti in maniera appropriata e non maleducata..
    Ad ogni modo sarebbe stato molto più utile che avessi riportato gli errori che tu citi e le eventuali correzioni.. sennò il tuo commento è quantomai vuoto ed inutile.
    Ad ogni modo voglio ricordare che questo racconto è stato accolto positivamente dalla critica e proprio in virtù di questo è stato pubblicato su di una prestigiosa rivista cartacea quale Il Leviatano.
    Saluti

  7. Detto fatto

    1) Le ombrelle (tra l’altro obsoleto) diventano maschili:”coperti dall’ombrello”.
    2) “alte felci” e subito dopo “alti scaloni”
    3) “frutto del genio di gente annoiata”: genio? mah
    4) “niente l’avrebbe osteggiata”: osteggiare non si usa in questo modo, forse si intendeva ostacolata e si è voluto abbellire…
    5) “vecchie travi” e subito “vecchia maniera”
    6) “deterioro” non è mai esistito in italiano, te lo garantisco!
    7) “massi tipici” e poi “cancellata tipica”
    8) “il cancello… portava segni di tarme” Tarme? Nel legno? Forse tarli, ma tarme proprio no.

    e potrei proseguire fino alla fine, ma allora mi devi pagare. Punteggiatura zoppicante, aggiungerei.
    Se davvero è stato pubblicato così come è, ho solo 2 spiegazioni
    a) si è pagato per la pubblicazione
    b) siamo rovinati

    Adios

  8. Comincio con il risponderti che la mia pubblicazione si “Il Leviatano” non è stata pagata e forse sei poco (o per niente) informato di come avvengono generalmente le collaborazioni sulle riviste di letteratura e cultura. Non stiamo parlando di una prostituzione della cultura per fortuna anche se, a quanto pare, in molti come te sono propensi a rapportare tutto ai soldi.
    Comunque ti ringrazio per le tue segnalazioni, in effetti qualche errore o svista c’è comunque non è tale da motivare il tuo atteggiamento arrogante e da “so tutto io”.
    Se sei un buon lettore avrai notato (ma forse non lo sei) che le ripetizioni non sono per niente una cosa negativa e che spesso vengono utilizzate per dare un certo senso alla storia…
    Ti ringrazio comunque per le segnalazioni degli errori, le critiche negative servono perchè sono costruttive e si può sempre migliorare.
    Ti darei un consiglio spassionato e gratuito che non ha niente a vedere con la scrittura e con questo sito: cerca di rapportarti con le persone (che per altro non conosci) in una maniera più gentile. Ciao
    Puoi fare a meno di continuare a commentare su questa pagina perchè il sito e i commenti hanno ben altra utilità.

  9. X PIPPO
    Ciao! Noi autori che scriviamo su questo sito, grazie all’opportunità che il Redattore Luca Coletta ci offre, gratis, siamo tutte persone di fantasia e con l’amore verso la scrittura. Lo facciamo in maniera semplice e spontanea, a volte riceviamo anche premi, partecipando ai concorsi. Forse dovremmo conoscere meglio la nostra lingua, forse dovremmo leggere meglio prima di pubblicare, sicuramente, ma amiamo di sicuro tutti, la penna.
    Detto questo, ti scrivo soprattutto in riferimento al tuo punto: b) siamo rovinati.
    Io direi che ci possiamo definire rovinati dalle nefandezze di questo secolo, a mio avviso gravi, ma anche per una cosa vecchia come il sole e che l’essere umano continua ad avere come compagna di viaggio: l’arroganza.
    Una scrittura, come tu l’hai definita: vocabolario povero, al massimo può essere corretta da qualche lettura in più.
    A leggerci, un saluto.
    Sandra

  10. Arroganza? Questo proprio no. Ragazzi a me pare che arrogante sia chi pretende di scrivere senza possedere le basi minime, e non chi critica NEL MERITO. Io ho espresso un giudizio, forse un po’ duramente, ma corretto, come l’autore stesso ha riconosciuto. Sandra, è proprio l’eccessivo buonismo della scuola italiana che ha procurato certi guasti nella nostra società, perché l’ignoranza poi porta con sé mille altre conseguenze negative. Essere buonisti anche verso chi espone volontariamente i frutti del proprio ingegno (esponendosi quindi per logica a critiche e commenti) vuol dire volere del MALE a chi scrive, e non certo aiutarlo.
    L’autore dice “in effetti qualche errore o svista c’è”. Capperi! Qualche errore! Una decina in poche righe, di cui molti gravi. Ma in un romanzo quanti ne farai allora? Non è che “so tutto io”. Non lo dico e non lo penso. Però so riconoscere gli errori di grammatica, e come tanti della mia generazione, anche se la trama fosse meravigliosa non potrei provare emozioni in un racconto scritto male, se non fastidio. Non posso credere che una rivista letteraria con un minimo di serietà possa accettare un racconto così inzeppato di errori. Per quanto riguarda me, sono fatto così e troppo vecchio per cambiare. Voi di cambiare avete tempo, fatelo se volete, se no continuate a farvi tanti bei complimenti a vicenda e arrangiatevi.

  11. Io ritengo un po’ eccessive tutte queste osservazioni… se si considera che tutti gli scrittori passano sotto la lente dell’editore e dei cosiddetti “correttori di bozze”… non è da stupirsi se in un testo ci sono degli errori…
    Questo sarebbe molto più grave se l’autore in questione per esempio, facesse appunto, il correttore di bozze, o l’insegnante di grammatica italiana… ma uno scrittore spesso mette nero su bianco l’idea del momento, e non può fermarsi troppo a rileggere e correggere tutto centinaia di volte, altrimenti rischia di rovinare il tutto… sicuramente è meglio evitarli gli errori, e ci mancherebbe.
    In ogni caso, le critiche sono bravi tutti a farle, più difficile invece è inventare storie, creare personaggi, situazioni, emozioni… a me personalmente il testo in questione è piaciuto, al di là degli errori… quindi complimenti all’autore e a rileggerti!

  12. Sono via da casa per cinque giorni e sul nostro
    (mi spiace Luca, ci hai adottato!) sito si fanno discussioni ardite e interessantissime.
    La mia domanda a Pippo è : cosa hai fatto negli ultimi trent’anni per migliorare le sorti della scuola e degli scolari italiani?
    Eri nel gruppo dei barricaderi o in quello di chi, allievo o insegnante, cercava faticosamente di portare l’acqua al mulino dell’impegno della crescita personale?
    Lorenzo ha un ideale: gli piace scrivere, si cimenta nella scrittura, ha idee, ama raccontare storie.
    Per dirla in una sola idea: è giovane, è in cammino, si misura con la fatica di trovare il suo posto nella vita.
    Tu, Pippo, sii generoso! scrivi e dai modo a noi, anche a me, che se voglio sono capace di essere un’arpia, di leggere le “tue” storie.
    Qui il gruppo di amici è composto da persone oneste e se sarai perfetto ci toglieremo tanto di cappello e ti batteremo le mani.
    Dai, facci leggere qualcosa di tuo….
    anna

  13. Scrittura è innanzitutto cuore… e per chi ha questo amore verso la penna innanzitutto conta il bello che riusciamo a creare… possono esserci errori, ripetizioni, è vero, ma siamo esseri umani che si sa… sbagliano come tanti altri! La scrittura è arte… in qualunque forma!

  14. Scrivo per fare i complimenti all’autore del racconto per questa storia molto particolare e interessante al di là degli errori grammaticali e di sintassi che tuttavia ci sono e di cui bisogna ovviamente tenere conto per poter diventare sempre più bravi anche sul lato della forma oltre a quello del contenuto sui quali tuttavia si può chiudere un occhio ma non su “ombrelle” perchè leggere questo svarione macroscopico 2\3 volte all’inizio del racconto ha quasi degli effetti tragicomici e fa quasi pensare che l’autore abbia voluto commettere apposta questo errore così eclatante.
    Detto questo vorrei esprimere una critica perchè secondo me l’autore avrebbe dovuto all’inizio caratterizzare meglio i protagonisti e il contesto del racconto: quanti anni hanno i 2 fratelli? Perchè sono andati al castello? Non sarebbe stato meglio dire ad esempio che stavano lì perchè la sorella voleva scrivere un articolo sul castello sul giornalino della scuola? Chi è il vecchio? E’ il conte, come sembra di capire o semplicemnete un vagabondo pazzo che è andato ad abitare nel maniero?
    In pratica se il racconto finisce così forse non sarebbe stato meglio dire chiaramente chi era il vecchio? E i corpi dei 2 ragazzi? Li troveranno mai?
    Concludo dicendo che queste sono delle critiche costruttive che spero vengano colte come tali e che non hanno alcuna pretesa se non quella di dare dei consigli.
    Ancora complimenti all’autore dell racconto.

    Antonio

  15. Salve ragazzi… sono nuova del sito e scrivo un po’ in ritardo (giusto un po’). Leggo spesso racconti qui ma non ho mai commentato, ma leggendo questo non ho potuto farne a meno. Sono una grande appassionata di film e libri horror e il racconto in questione ne è un degno rappresentante. Hai fantasia come pochi e grande proprietà di linguaggio, al di là di ogni critica gli errori sono importanti perché senza quelli non avremmo nulla da imparare… non mi dilungo più di tanto… Saluti… assunta

  16. Oh mio Dio sto ancora tremando! per me è un ottimo racconto.
    Nella mente mi immagino ancora le gambe spezzate… Brrrrr… Mamma mia.

  17. Bella storia ma, come dice Pippo, se fosse stata scritta un po’ meglio in italiano, forse, avrebbe reso di più! Certi errori sono proprio inammissibili!

  18. Carissimo Lorenzo,
    Il racconto è praticamente fantastico, mi ha lasciato senza fiato. Mi è piaciuta particolarmente la parte in cui narri la tortura del fratello di Lucy. Mi dispiace per i commenti negativi ricevuti. Magari tutti sapessero scrivere come te, saremmo tutti dei professori. Sono molto contento di aver letto il tuo racconto. Saluti
    Lele99

  19. Ciao sono Erica, sono in 4 elementare e devo scrivere una storia dell’orrore e questa mi ha dato proprio ispirazione. Comunque è stata una vera storia di paura, ma, mi è dispiaciuto leggerla perchè so che questa notte me la sognerò e scommetto che Lucy sarò io.
    Saluti Erica.

  20. Secondo me, e non voglio essere polemica, la storia va riscritta in forma più avvincente, e senza errori che potrebbero distogliere il lettore dall’immedesimarsi nella stessa. L’idea è senza dubbio buona, consiglierei di leggere brani horror per capire come impostare il tutto.

  21. Se posso vorrei dare un consiglio all’autore del racconto.
    Sono un grande appassionato di racconti horror e devo dire che l’idea c’è (il Conte ancora vivo, nascosto in una stanza segreta del suo maniero, miete vittime tra i poveri avventurieri che si inoltrano nella sua proprietà).
    La pecca secondo me deriva dalle ambientazioni un po’ irreali (il quotidiano e la carta di gelato non si addicono al personaggio del Conte e la collezione di armi intarsiate di gioielli sono troppo in bella vista) e dal comportamento della protagonista (troppo frettolosa nel muoversi tra le stanze, troppo accondiscendente nel farsi intrappolare dal Conte).
    Manca il panico, la ragazza deve esser disperata e confusa e lo si deve capire, inoltre lascia che sia il lettore a carpire certi particolari (come la spada mancante dalla rastrelliera, la tendenza religiosa della contessa, il fatto che imbavagliare il fratello sia inutile etc.)
    Personalmente credo che un racconto horror debba far immedesimare il lettore nel protagonista e debba far si che le sensazioni di panico e angoscia si trasmettano ad esso.
    Non vorrei sembrare troppo negativo e spero che il mio commento possa essere utile.

  22. Da lettrice, mi trovo d’accordo con Pippo, Rudi e gli altri commentatori dei quali condivido le critiche. La storia potrebbe risultare più avvincente con una sintassi corretta, senza tutte quelle ripetizioni che non rendono affatto più sciolta la lettura e con descrizioni più accurate e meno frettolose. Sembra di leggere un tema delle elementari. Inoltre, leggendo questo racconto, non mi viene voglia di chiedermi “perché il conte agisce così? Cosa lo spinge a commettere le torture? Come mai nessuno l’ha scoperto?”… Non mi pongo tali domande perché non m’interessa, la mia curiosità non è stata stuzzicata. Anzichè esserci mistero, ci sono buchi nella trama, cose tralasciate. Un racconto dell’horror dovrebbe lasciarci angosciati e non perplessi.

  23. Mai criticare lo scritto di un principiante caro pippo! Come vedi la cosa si ripete per tutti “critiche non costruttive” (quali sarebbero le critiche costruttive di grazia?) pippo dice ci sono errori grammaticali, e li elenca, ci sono ripetizioni, e le elenca! Ci sono inutili ridondanze… e le elenca… insomma che deve avere una critica per essere “costruttiva”???

    Il racconto in se è banalotto, due entrano nel solito castello “abbandonato” e muoiono, stop! Questo è quanto, suspence? Nessuna. Perché il macellaio è tale? Ci sono stati altri morti? Insomma che significa il “racconto, che non racconta?”

    Il Leviatano, sarà anche una rivista per amatori, ma certo non una “nota famosa rivista italiana ecc ecc”, no l’unica critica inutile è stata la risposta piccata dell’autore, evidentemente all’inizio, si impegni e legga di più i classici, da Lovecraft in poi, noterà come si usano diversamente le ridondanze, le ripetizioni e come esistano i SINONIMI anziché stare a ripetere due tre volte la stessa parola!

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