Ci sono i tavoli apparecchiati, o per meglio dire sparecchiati, dato che siamo quasi alla fine della serata. I pochi invitati che sono rimasti si distribuiscono tra le sedie, sparse per tutta la sala – non ce n’è una che sia ancora al suo tavolo, e la pista da ballo. Anche i ragazzi dell’orchestra si sono dati per vinti e chiacchierano, appoggiati agli strumenti, in mano un bicchiere di vino più che meritato; è il dj a condurre le danze, adesso, e dopo una sessione di balli scatenati e gioiosi, sta passando in rassegna i migliori lenti degli ultimi decenni. Lo strascico non è più tanto bianco, a questo punto della serata, ha cercato di starci il più attenta possibile, ma era impossibile che ne uscisse indenne; anzi, è messo meglio del previsto, è solo un po’ sporco. La testa le fa un po’ male, i lunghi capelli raccolti dalla mattina cominciano a tirare e pesarle, avrebbe solo voglia di infilare una mano nell’acconciatura e arruffare tutto, tanto ormai le foto sono fatte.
“Coraggio, manca poco ormai…”, la voce calda di suo padre. Fa una smorfia di rimando, ma sorridendo. “Menomale che avevo le scarpe di ricambio” “Almeno quello…”. Il dj prende la parola e annuncia la canzone che sta per mettere; un classico di ogni tempo, l’icona di più di un film, uno più romantico dell’altro. Suo padre la cede volentieri al giovane che si avvicina con sguardo ammiccante e un gran sorriso sulle labbra e negli occhi. Le prende la mano e l’avvicina a sé, ringraziando con un cenno l’altro cavaliere. Si mettono in posizione, appena prima che la musica inizi.
“Ehi”
“Ehi”
“Non ti ho quasi vista in tutta la sera”
“Lo so, scusa…”
“Non era un rimprovero”
“Ci mancherebbe!”, sorride. Le sorride anche lui, e per un po’ stanno in silenzio, ballano, e si guardano intorno, altre coppie che danzano, persone che parlano, donne con i tacchi in mano e uomini con sigari e bicchieri di whisky. La musica si affievolisce, siamo quasi al gran finale, questo dice una voce nel microfono e nuove note si diffondono nella sala. Le riconoscono immediatamente.
La stringe un po’ più forte, nel vuoto di parole che la canzone crea intorno a loro, mentre dondolano a tempo, i corpi vicini, i cuori che battono, quasi all’unisono.
“Come stai?”
“Che domanda è?”
“E’ una domanda”
“Bene”
“Bene”. C’è la voce di Frank nell’aria, e nient’altro, o almeno così pare. Con la coda dell’occhio lei lo vede che balla con la sua migliore amica, e ridono fra loro, felici; anche lei è felice. Vuole esserlo. Perché se lo merita, e nessuno le porterà via questa convinzione.
Alza un po’ il mento per guardare il suo ballerino, si guardano fissi negli occhi, sorridendosi a vicenda. Le viene una fitta al cuore, sospira; sente le sue mani che la accarezzano piano, senza farsi notare. Appoggia la testa sulla sua spalla e canticchia:
“Oh the dream maker, you heartbreaker…”
“Wherever you’re going I’m going your way”, insieme.
Allora chiude gli occhi. Senza pensare. Balla soltanto, grazie a Frank. Non alza più la testa, lascia che la musica le scivoli addosso, come se fosse sola, come quando era bambina e ballava nella sua stanza immaginando che fosse il Principe Azzurro, quello che la teneva fra le braccia.
La canzone è finita, e lui la stringe per un altro secondo, un secondo in più del dovuto. Poi la lascia andare. Lascia la sua mano, lascia il suo cuore; gli scivola via dalle dita con gli occhi gonfi e il sorriso sulle labbra: “Ho sempre saputo che avrei ballato Moonriver con te, un giorno”.
Ci leggo un’ombra di rimpianto per un Principe azzurro mai incontrato. 5 stelle. Michele