Racconto selezionato per l’antologia fantasy dal titolo “Altri mondi possibili”, edita dalla Marlin editore, piccola casa editrice della mia piccola città. Spero che leggerlo sia piacevole.


Un giorno però, gironzolando nel solaio del mistero, calpestai un’asse di legno particolarmente consunta e notai che con una leggera pressione potevo sollevarla…

Ero abituato alle stranezze di quel solaio poichè c’ero stato tante volte e sulle prime non vi feci troppo caso, decidendo di continuare il mio giro.
Spostai casse e lenzuola, scoprendo vecchi strati di polvere e specchi che non riflettevano più; cavalli a dondolo ancorati al pavimento e mucchi di lettere senza più indirizzo.
Diari con date così vecchie da rifiutarsi di mostrarle e abiti dai pizzi talmente tarlati che i pallidi raggi solari li attraversavano volentieri, illuminando la polvere fluttuante quando danzava davanti alla finestra.
Esplorai ogni cantuccio, sebbene lo conoscessi a menadito.
Ogni volta però, scoprivo nuovi particolari, dietro angoli controllati decine di volte, dietro mobili e cassettoni spostati e rispostati.
Nuovi oggetti, nuovi ricordi di persone mai incontrate, polverosi e intristiti da chissà quanti anni di prigionia.
Sebbene ciò mi distraesse non poco, il mio pensiero anticipava sempre la mia coda dell’occhio, sbirciando l’asse sollevata, e la nera ombra di buio, che faceva capolino dall’interno.
Lasciai cadere distrattamente un gomitolo che avevo appallottolato rubando fili penzolanti da diversi tessuti, e mi avvicinai fino a inginocchiarmi a terra.
Sfiorai con l’indice la tavoletta un pò marcia: il cigolio di pietà del legno si accodò al mio brivido, con un fracasso assordante.
L’asse si spezzò, ricadendo di lato con un botto secco, circondata da una nebbiolina di polvere danzante.

Rimasi immobile. A fissarla.
Avvicinai un poco il volto, cercando di leggere quel minuscolo spazio di tenebra, quando all’improvviso un soffio leggero mi scompigliò i capelli e avvertii qualcosa sfiorarmi la guancia.
Mi allontanai di scatto, seguendo con gli occhi una minuscola fogliolina rossastra, che compiva cerchi nell’aria, per poi ricadere piano sul mio palmo aperto.

Spostai un’altra asse, e un’altra ancora.
Le svellai come una bufera di vento fa con le radici di un albero e liberai uno spazio abbastanza grande, solo per scoprire che non vi era che buio.
Nero. Nero e fitto buio.
Mi sporsi con un piede sul bordo dell’ultima asse, sentendola tuttavia particolarmente solida.
Allora abbassai lo sguardo e vidi che da quel punto partivano degli scalini.
Sembravano fatti di rami e di terra e si perdevano nell’oscurità.

Scendendo mi resi conto che erano particolarmente resistenti, ma proseguii comunque con lentezza, abituato com’ero ai mille trabochetti di quel solaio.
Sentivo la terra morbida sotto i piedi, i rami nodosi e forti che mi sorreggevano.
Dopo qualche minuto, giunsi alla fine e compresi di trovarmi in un’altra stanza.
O almeno da quel poco che riuscivo a vedere mi pareva un’altra stanza.
Gettai uno sguardo di rimpianto in alto, pensando che avrei almeno potuto portare una lucerna con me, una di quelle che ancora non si erano arrese al logorio del tempo.
Come in risposta al mio desiderio, vidi una piccola lampada d’ottone rotolare sugli scalini, ricadendo ai miei piedi e spandendo la sua luce aranciata su quello che a primo impatto mi fece congiungere le labbra in una silenziosa esclamazione di sorpresa.
Dire che mi trovavo in un bosco non era esattamente vero.
Era una radura. Una radura in una stanza.

Ai miei piedi c’era una ragnatela di radici sottili, che diventavano più grandi man mano che la luce li colorava, fino a trasformarsi in tronchi nodosi, addossati alle pareti.
Allo stesso tempo però sembrava che avessero invaso le mura, attraversandole e crescendo liberi, fino a formare una specie di tetto. Un tetto di foglie e rami.
Un soffitto di intrecciata e inquietante natura.
Quel posto pareva grande, forse più del solaio.
Mano mano che procedevo sul terreno ricoperto di rami e fogliame secco, mi accorsi che la natura aveva circondato ogni cosa, ogni oggetto, avviluppandolo in una rete di fronde, ramoscelli ed erba.
Spostai lo sguardo stupito da una parte all’altra, avido di scoprire altri dettagli sul posto in cui mi trovavo.
La mia debole fonte di luce però, non riusiciva a raggiungere nulla che non fosse a pochi passi da me, perciò per scoprire dove fossi fui costretto ad avanzare.
Illuminai piccoli nascondigli fra i rami, inseguii piccole ombre e scossi la tranquillità di piccole vite.
Troppo preso dalle nuove scoperte non facevo che appuntare mentalmente ogni cosa, per poterla annotare nel mio diario di viaggio.
Ma procedendo non mi ero accorto di aver imboccato un sentiero sempre più fitto, tanto che quasi non mi riusciva di camminare in linea retta.
Gettai uno sguardo indietro, al pulviscolo sottile che danzava nella luce, nel punto in cui ero sceso.

Presi un profondo respiro e proseguii.
Davanti a me, un nero brulicare di tenebra.

4 pensiero su “Sottoasse”
  1. Bel racconto.
    Un preludio a molto altro.
    Sii gentile… racconta ancora…
    Ciao
    anna

    Ci saranno almeno 5 stelle a illuminare le tenebre?

  2. Anna grazie mille, ricordo sempre con piacere i tuoi commenti. Ho pubblicato raramente su questo stupendo sito e ogni volta vedere il tuo nome fra i commenti mi scatena sempre un sorriso!
    Un abbraccio
    Gerardina

    Sandra, ti ringrazio, anche per te vale lo stesso discorso, mi lascia sempre contenta sapere che leggete ciò che scrivo.
    Un bacione
    Gerardina

  3. Un giorno però…
    Come “però”? Però che cosa?
    E poi non è un racconto, ma al massimo un incipit piuttosto lungo e neanche particolarmente originale.
    Ben scritto, però (qui va bene), e con una descrizione che fa quasi visualizzare questa vecchia soffitta. Piacevole da leggere.
    4 stelle ben meritate

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