Non è stato facile fissare questo incontro. Per ottenerlo ho dovuto mentire sulla mia identità. Mi aspetta nella hall dell’albergo.
Mentre mi avvicino perdo tutta la baldanza che mi ha fatto arrivare fino a qui. Vorrei tornare indietro ma è troppo tardi: mi ha visto.
Mi avvicino con passo sicuro ostentando un coraggio che non c’è. Le gambe sembrano diventate di gelatina, la salivazione si è arrestata. Cerco di deglutire, ma la lingua rimane attaccata al palato come se in mezzo ci fosse uno strato denso e vischioso che impendisce persino alle labbra di schiudersi. Intorno a me la gente si agita, si dimena con i bagagli, parla concitata, inseguendo frettolosa un impegno per il quale forse è in ritardo. Attraverso la hall col cuore in gola per l’emozione e mentre mi avvicino, sento che vorrebbe saltarmi fuori dal petto, qualche passo ancora….. ecco, adesso siamo uno di fronte all’altro. Ci guardiamo, ci scrutiamo e come fanno gli animali, ci annusiamo per cercare di cogliere l’odore dell’ostilità e sentire se il nemico abbia un profumo particolare. Gli sguardi sono diffidenti. Vorrei dirgli che non sono venuto fin qui per aggredirlo, ma poi decido di tacere. Mi arrendo alla sua rabbia, al suo disappunto per questa mia scelta di vita così tardiva e sofferta. Abbasso gli occhi e aspetto timido la condanna che arriverà inesorabile, come la lama di una ghigliottina. Potrei spiegargli che la mia omosessualità mi ha creato sempre disagio, che è stato un fardello pesante da portarsi dietro e molto difficile da condividere con sua madre in tutti questi anni. Potrei appellarmi al suo buon cuore, alla sua sensibilità, alla sua intelligenza, ma non potrei mai confidare nella sua capacità di accettare un padre “diverso.” So che non potrebbe farlo adesso. Forse è troppo presto. Forse il colpo è stato troppo violento e soprattutto inaspettato. Forse la delusione è così grande da impedirgli anche la minima obiettività. Quanti forse, certamente troppi. I miei occhi implorano clemenza e la mia anima si accontenterebbe anche solo di qualche brandello di tolleranza, ma i suoi brandiscono il rancore come un’arma letale, brillano di furore sotto le luci accecanti di questo salone immenso che brulica di voci chiassose, quasi stridule e così fastidiose da esasperarmi. Lo sento respirare, il suo petto si contrae e si distende in modo affannoso, gli sono così vicino da percepire il suo alito caldo. Le sue labbra si muovono in una smorfia di disgusto, vorrebbero vomitare veleno, proferire parole da usare come una mannaia…. lo so…. lo sento, lo intuisco dal suo sguardo, dal sudore che gli imperla la fronte, dall’odore della pelle che mi arriva alle narici e mi sale fino al cervello. Vedo la sua bocca che sta per muoversi, un sibilo gli attraversa le labbra come se le parole fossero rimaste strozzate in gola. Le mie gambe allora riprendono a tremare, il cuore accelera la sua corsa, il respiro esce a fatica, la gola si stringe e l’aria sembra mancare ad ogni secondo che passa…. Cerco a tutti i costi di domare le mie emozioni, di darmi un contegno e con enormi sforzi recupero un minimo di controllo, quel tanto che basta per riuscire a decidere cosa fare. Il battito adesso torna alla normalità, il respiro fluisce senza fatica, tutte le funzioni riprendono la loro regolarità lentamente, anche la mente smette di turbinare, i pensieri cominciano a prendere forma, decisi.
Vorrei abbracciarlo, coprirlo di baci, scuoterlo con le mie parole, bagnarlo con le mie lacrime, prostituire la mia anima per un po’ di indulgenza, invece con lo sguardo perso, gli volto le spalle e mi avvio verso l’uscita. I suoi occhi mi accompagnano, me li sento addosso, freddi, affilati, occhi di condanna, di disprezzo e forse anche di scherno. Il mio cuore riprende la corsa e mentre si agita, lo sento lacerarsi per questo figlio perduto per sempre e per questa colpa che nessuna condanna potrà mai espiare. Comincio a camminare con passo deciso e gli occhi bassi. La mente è in delirio. Vorrei urlare con tutto il fiato che ho in gola per squarciare le tenebre dell’indifferenza di chi mi passa accanto senza vedermi. Vorrei percuotermi fino a sfinirmi. Vorrei lasciare dei segni sul mio corpo a testimonianza della mia abiezione, di questa vergogna che mi porto dentro da sempre, di questa infamia che mi sta attaccata addosso come una seconda pelle. Vorrei dissolvermi nell’aria, vorrei…. vorrei…. Il marciapiede è diventato una lingua di asfalto, le auto incolonnate sembrano tante carovane lente e snervanti. Qualcuno mi tocca inavvertitamente il braccio senza voltarsi, uno senza volto e senza nome. Le gambe adesso vanno da sole, prive di meta, infilando un passo dopo l’altro meccanicamente. Lo sguardo si perde nel vuoto, solo la mia anima sembra sopravvivere, ancora per poco, il necessario perché possa assistere impotente, alla sua misera e ineludibile morte.
Un pezzo molto bello e attuale. Credo che per tutto ciò che appartiene al mondo del “diverso”, innanzi tutto, oltre a trovarci impreparati e fragili, abbia bisogno di un certo percorso per effettuare ogni accettazione.
Sono fiduciosa sulla frase: “ad ogni problema esiste la soluzione”.
5 st. Un saluto
Sandra
P.S.: solo la morte toglie ogni percorso di speranza e di possibile soluzone, ma a quel punto, ogni disagio è già risolto, quindi, ci conviene avere problemi e battere ogni strada.
Ciao Stellina,
Testo intenso che scuote l’anima. Mi piace molto il tuo modo di descrivere le emozioni dei tuoi personaggi. Un brava e 5 stelle.
Greta
“Prostituire la mia anima per un pò d’indulgenza”…..
Quanto dolore concentrato in una frase….
Ma perchè mai qualcuno dovrebbe implorare per essere accettato per quello che è?
“Abiezione, vergogna, infamia”…
Ben altri individui meriterebbero queste etichette, non certo un’omosessuale.
Non si sceglie di essere “normali” o “diversi”, si nasce e si esiste, non è una malattia, non è un difetto, è un aspetto della vita e va rispettato.
Racconto forte, intenso, sofferto.
Merita molta riflessione ed attenzione.
5 stelle
Grazie amici per i commenti che avete lasciato, mi fanno piacere e mi commuovono, rispondo soltanto ad ICE dicendole/gli non so se sei un uomo o una donna, naturalmente non condivido i concetti espressi con le parole “abiezione, vergogna, infamia” penso anche io come te che altri individui meriterebbero queste etichette. Mi sono permessa di usare queste parole al solo fine di cercare di esprimere quello che ho presunto fosse lo stato d’animo di chi ci è dentro e magari inizialmente non accetta questa realtà. L’omossessualità non è una discriminante nella vita di un uomo o di una donna ma immagino che al momento della scoperta possa creare conflitti interiori e magari anche biasimo per se stessi. Ho cercato di mettermi nei panni di questo personaggio e di ipotizzare quali potessero essere i suoi pensieri e dopo averlo fatto li ho trasferiti sulla carta. Io sono donna e il mio personaggio è di sesso maschile, spero di essermi avvicinata alle emozioni che potrebbe aver provato, è chiaro che per poter essere attendibile al cento per cento bisognorebbe viverlo in prima persona. Rimango sempre dell’idea che l’unica vera discriminante per un individuo sia la disonestà.
Sono una “lei”, Stellina, e sono assolutamente convinta che tu abbia usato determinati vocaboli al solo scopo di dare maggior risalto ed efficacia alla tua prosa, riuscendoci, a parer mio, alla perfezione.
La tua immedesimazione è ammirevole e segno di una sensibilità ben poco comune ai nostri giorni.
Credo anch’io che non sia facile “vivere” una simile realtà ancora purtroppo discriminante, e che solo chi la sperimenti sulla propria pelle possa sapere che immenso prezzo abbia.
Sono più che felice che tu abbia proposto questo argomento come momento di riflessione, perchè sono fermamente convinta che solamente confrontandosi civilmente e condivedendo le proprie convinzioni si può tentare di migliorare ciò che ci circonda.
Mi piace tantissimo come scrivi e l’argomento scelto per questo racconto che dà spunti a riflessioni molto profonde.
Complimenti per questo tuo bellissmo racconto.
5 st.
Silvia Daonadello
Ciao, Stellina, complimenti. Da uomo posso dirti che hai interpretato bene il personaggio. Quella sensazione di rifiuto assoluto è giustamente commisurata all’età del “diverso”. Per fortuna i giovani diversi reagiscono più positivamente, si accettano. Alla scienza rimane ancora il compito di spiegare la diversità. Poi ci sarebbe tutto un background culturale da esaminare, capire e anche correggere.
Cinque stelle per l’introspezione psicologica e il modo di narrare. Michele F.