L’idea era d’andare a Roma in treno tardi nel pomeriggio di quel giorno in giugno. E poi, da Termini, prendere il trenino per Fiumicino in tempo per sistemarmi all’albergo lì prima che facesse buio. Il volo della British Air sarebbe partito l’indomani alle 6 di mattina ed era per questo motivo che decisi di lasciare il podere e il nostro amato gatto Massimo quel pomeriggio – non c’era altro modo per arrivare in tempo per il decollo [dovevo fare il check-in alle 4 di mattina]. Il mio moroso mi stava aspettando a Boston – non volevo perdere il volo dopo la nostra separazione di quasi un mese!  Ma, ero malata – un’infezione batterica forte nello stomaco che mi faceva vomitare e svenire con una febbre alta e che mi dava la diarrea, ero stata già a letto quasi tre giorni prima del giorno della partenza. Purtroppo, non c’era scampo – o usavo il mio biglietto com’era o avrei perso il posto e avrei dovuto comprare un biglietto one-way per tantissimi soldi all’ultimo minuto qualche giorno dopo.

L’avevo fatto questo viaggio 20 volte fino allora senza problemi. Anche con due grandi valigie che pesavano quasi 28 chili ciascuna e la borsa e la macchina digitale. E allora, nonostante che stessi male, andai alla stazione ad Orvieto Scalo con la promessa di chiamare Pia se c’era un problema.
Arrivai a Roma Termini circa un’ora dopo, stanca, e mi girava la testa, ma pensavo “faccio un passo alla volta”. Dopo una lunghissima camminata con le valigie per cambiare binario, arrivai dove c’era sempre quel binario per Fiumicino.  Cancellai il biglietto e salii nel trenino. Tutto bene anche se mi sentivo veramente fuori dalla realtà e dovevo correre al bagno ogni 15 minuti. Sudavo, mi ricordo bene; sentivo freddo. Trovai un posto e mi sedei.

Il trenino partì, pieno di gente. Cercai di dormire un po’ – non c’era un’altra sosta prima di Fiumicino. All’improvviso, avevo la sensazione che dormissi e che facesse buio e fossi nel trenino già da molto tempo. Chiesi a qualcuno “Ma questo treno va all’aeroporto?” “Sì”. Va be. Però, però, però, quasi subito dopo c’era una fermata e non era a Fiumicino. Era quasi buio fuori del trenino. Chiesi nel panico: “Ma veramente questo treno va a Fiumicino?” “No, a Ciampino”. ACCIDENTI. Dovevo correre al bagno ancora una volta.

‘Adesso che faccio’ mi domandavo………… [con tante bestemmie nel mio povero cervello]………

Allora chiesi dov’era la prossima fermata e mi dissero che sarebbe stata fra qualche minuto, e, infatti, il trenino, adesso era buio, si fermò poco tempo dopo. Con difficoltà, scesi con le due grandi valigie e tutto il resto, e mi trovavo nel mezzo di……………………… niente! Niente stazione, niente di niente – solo un binario e……………… niente – un “posto” proprio sperduto. Mi è venuta la voglia di piangere ma non l’ho fatto. Guardai intorno a me – c’erano una stradina, tanti alberi, il binario ed il buio. Ah. Hmmm. Stavo veramente male. Non c’era un’anima viva. Dopo ancora alcuni minuti, decisi che non potevo aspettare lì e allora nascosi le valigie dentro qualche cespuglio. Guardai per bene di qua e di là – niente.  Cominciai a camminare con la speranza di trovare qualcuno o un centro commerciale per chiedere aiuto.

Dopo forse 2 chilometri – adesso faceva buio pesto e stavo ancora peggio. Per fortuna, trovai un bar aperto e andai dal barista a chiedere dove ero e come potevo arrivare a Fiumicino. Mi disse, con una risata “in tassi solo che non ci sono i tassi qui.” In treno? Sarei dovuta andare alla stazione [una distanza di 10 chilometri], tornare in treno a Roma e cominciare da capo ma ora faceva tardi e l’ultimo treno per Fiumicino da Roma Termini sarebbe partito alle 22. “Che ore sono?” “Sono le 20,30”. Ah. Senza alternativa, domandai se c’era qualcuno lì che poteva portarmi alla stazione a pagamento. Lui guardava a tutta la gente lì dentro il bar, faceva la domanda ad alta voce – nessuno rispose. “Ma guarda,” dissi io, “sto male, molto male e ho bisogno d’aiuto.” Niente.

All’improvviso vidi, al fondo dal bar, due poliziotti! “Che fortuna” pensai! “Sono salva”! Andai da loro e gli spiegai il mio problema con il treno e tutto il resto. Rimasero muti, guardando i loro caffè. Forse non mi hanno capito.  Cominciai di nuovo, ma dopo tre parole uno di loro si girò e disse “Ma signora, il suo problema non è nel nostro campo di lavoro. Non dobbiamo e non possiamo aiutarla.”

Rimasi senza parole.

Volevo, ma ero così arrabbiata che non sono venute le lacrime.

Mi piantai davanti a loro senza muovere un muscolo e ho fissato il mio sguardo su di loro.

“Ma non ci ha sentito?” “Non possiamo fare nulla.”

E io – “Sentitemi bene. A causa della vostra indifferenza, adesso vado per strada e faccio l’autostop fino alla stazione, malata, sola, nel buio.  Se fossi la moglie di uno di voi – che vorreste che facessi?  Se mi trovate morta domani o se qualsiasi cosa brutta mi succede – sarà colpa vostra. Siete veramente scemi. Sono una straniera, sto molto male, non so dove sono, sono solo 10 chilometri in macchina, non avete nient’altro da fare se potete bere il caffè con questa calma. Pensateci bene.”

Voltai le spalle e andai fuori. Tutti mi sentirono. C’era un silenzio totale dentro il bar.  Cominciai a camminare verso le mie valigie – mi sentivo davvero fuori di testa, in un’altra realtà che non era reale per niente – come un incubo senza essere addormentata. Dopo quasi cinque minuti arrivarono i  due poliziotti in macchina. “Salga.” “Devo prendere le mie valigie.” “Quante?” “Due, grande e pesanti.” “Accidenti. Ci mancava solo questo. Dove sono?” “Qui avanti, nascoste.” “Salga.”

In meno di 10 minuti siamo arrivati quasi alla stazione e mi hanno lasciato con le valigie nel mezzo della strada.  Quando arrivai alla stazione proprio, mi sono resa conta che c’erano tante scale da scendere per fare il sottopasso.  Porca miseria. Però, non c’era scampo. Solo che…………. dal cielo [forse, infatti, stavo sognando??] è venuto, senza notizia, un uomo – adesso sono sicura che fosse un angelo, anche se non credo negli angeli – e, senza dire una parola lui prese le due valigie e le portò dentro la stazione per me. Provai a pagarlo ma non me lo consentì. Gli dissi grazie tantissimo e comprai un biglietto per l’ultimo treno a Roma – doveva arrivare 10 minuti dopo, al binario 2. Lui mi sentì e ancora una volta senza parlare mi sono trovata al binario 2 con le valigie.
Passarono 10 minuti e comparì un annuncio – il treno era in ritardo, ma un altro sarebbe arrivato e si sarebbe fermato a Roma Termini… al binario 5. Il sottopassaggio…… ancora lui, ancora arrivai in tempo per il treno. Lui mise le valigie sul treno per me e mi disse “buona fortuna – spero che tu stia meglio presto.” E sparì. Così.

Stavo ancora pensando a lui, quando arrivammo a Roma e avevo solo 10 minuti per andare dal binario 2 al binario 24 per Fiumicino – non ce la facevo anche se ero in ottima salute. Però però – è comparso quest’uomo [non scherzo], prese le valigie e corse con me indietro e arrivammo al trenino in partenza e, per un pelo, siamo riusciti a mettere me e la mia roba dentro mentre il trenino stava partendo. Che posso dire?

La fine di questa storia non ha molta importanza – arrivai a Fiumicino troppo tardi per la prenotazione all’albergo e dovetti restare su una panchina vicino ai bagni per tutta la notte ma non mi importava niente. Ero lì, pronta per la partenza e potevo dormire sull’aereo. Chiamai Pia con calma e dissi: “Sono all’aeroporto. E’ tutto a posto. Saluta tutti. Ciao ciao”. Poi piansi, solo un po’ e solo perché già mi mancava il gatto.

Questo è stato.

3 pensiero su “Una Partenza Particolare”
  1. Ciao, carino il tuo racconto. Dovresti curare un po’ di più la lingua però. “sistemarmi all’albergo”: non è che sia proprio un errore credo, però in italiano è più corretto sistemarsi IN e anche andare IN bagno è molto meglio di AL bagno.
    “Nonostante che stessi male” invece è proprio brutto, togli il CHE, per carità. Dovresti rivedere proprio la lingua e anche i tempi dei verbi che sono un po’ confusi. L’idea c’è però.

  2. Mamma mia, che situazione dettata dalla logica che il malato d’influenza intestinale a casa dovrebbe stare.
    Se fossi stato io al posto dei due polizziotti avrei chiamato il “118”.
    Se non volevi salire in ambulanza “tso” Trasporto sanitario obbligatorio.
    Saluttttt..

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