Accese una sigaretta. Il fumo uccide. Scoppiò a ridere.

Questa volta non c’era bisogno di fotografie, di pedinamenti, non doveva neppure verificare se il versamento fosse stato effettuato regolarmente; in tanti anni, mai un contrattempo, tutto liscio come l’olio. Sotto la doccia, ripensò ai suoi primi incarichi, la delusione della prima volta, quando si accorse di non provare niente, nessuna emozione. Niente adrenalina, nessuna paura, perché se lavori con metodo, con coscienza, questa è la professione più sicura del mondo. Strano destino il suo, rampollo di una famiglia facoltosa, laureato in giurisprudenza alla Cattolica, aveva concluso il praticantato in uno degli studi più prestigiosi di Milano, quando tutti scommettevano sul suo radioso futuro, abbandonò la professione. Le illazioni si sprecarono, chi sosteneva che il problema fosse la moglie di uno dei soci, chi diceva che la sua passione per i cavalli non era apprezzata all’interno dello studio, bastò un forte raffreddore e il naso rosso per farne un cocainomane. La verità era più banale, più semplice, si annoiava, una noia mortale.

Di punto in bianco sparì dalla circolazione. Ricomparve a Los Angeles, dove un vecchio amico l’introdusse in quello che sarebbe poi diventato il suo mondo.

Rientrato in Italia, non impiegò molto a diventare il killer più ricercato sulla piazza, infallibile, famoso per non aver mai lasciato una traccia, per tutti era il CHIRURGO , il suo vero nome compariva dappertutto: elenco, campanello, documenti, ma nessuno, sarebbe stato in grado di associarlo alla sua …. professione. Il suo tenore di vita non destava particolari sospetti, il patrimonio di famiglia bastava a motivare una vita più che agiata e la mancanza di un’occupazione. Amava il lusso, ma lo viveva in modo riservato, dentro le mura di casa: molte tele importanti, tra cui spiccavano Modigliani, Magritte, Paul Klee. Una collezione di monete d’oro rarissime, vini di grande pregio, che più che bere, collezionava, un capitale speso in abbigliamento, ma tutto si riduceva a questo; odiava guidare, possedeva una vecchia Mercedes, che usava pochissimo e che non dava certo nell’occhio. Non amava la vita mondana, eccetto qualche comparizione alla Scala, col tempo aveva perso anche la passione per i cavalli, almeno per le corse, qualche puntata al maneggio, ma niente più. Ogni tanto staccava, recandosi in Svizzera dove possedeva una villa sul lago di Greifensee, qualche uscita a pesca e passeggiate lunghissime in totale solitudine.

“Ho perso qualche capello ma a nessuno direbbe che ho compiuto i sessanta,” disse a voce alta strofinandosi i capelli davanti allo specchio.

Accese una sigaretta. Il fumo uccide. Scoppiò a ridere.

Scelse con cura il vestito, un gessato grigio, camicia bianca, cravatta grigio in tinta unita, scarpe e calze nere. Non sembrava avere nessuna fretta, tolse dal frigorifero una bottiglia di Cristal Rosé, era rarissimo vederlo bere durante il giorno, soprattutto mai prima di un lavoro, questa volta però, poteva fare un’eccezione, mangiò una fragola, la sua passione, adorava le fragole fresche, intere, naturali. Gli piaceva passare in rassegna i banchi di frutta, per poter scegliere le più belle. Queste le aveva comprate Isabella.

Isabella. Il pensiero gli procurò un senso di vertigine. Non era stata una idea intelligente permettere a questa ragazzina di arrivargli così vicino, di muoversi con tanta libertà, doveva essere fuori di testa, quando le consegnò le chiavi di casa per consentirle di ritirare la biancheria sporca, dimenticata sul divano. Sente ancora un brivido di freddo, ripensando all’appartamento pulito, lucido, un ordine perfetto, tutti i barattoli al loro posto, le bottiglie allineate nel vano bar, le scatole dei proiettili accatastate, la custodia del fucile di precisione, sulla cassapanca, lei seduta ad ascoltare musica, in attesa del suo rientro. Nessuna domanda, nessuna reazione, il solito sorriso, quel sorriso che lo aveva conquistato, un misto di tenerezza, adorazione, ingenuità. Isabella, tredici anni, nipote della portinaia, capelli nerissimi corti, un corpo che stava esplodendo, soprattutto una dolcezza che lui non aveva mai conosciuto. Non riusciva a togliersi dalla testa le passeggiate fuori porta, le puntate in libreria, il luccicare dei suoi occhi quando in mezzo ai libri, trovò il braccialetto che tanto agognava, “il regalo per la promozione, te lo sei meritato.” Sente ancora lo schiocco del bacio, il caldo che si impossessava del suo corpo, il tourbillon di emozioni che gli annebbiano il cervello. Si tocca istintivamente la guancia e gli sembra di sentire il contatto, le labbra di quella ragazzina ancora così acerba. Sapeva di non poterselo permettere, era sempre stato attento a non coltivare legami di nessun tipo, ma non riusciva a tenerla lontano.

Che cazzo fai, giochi a fare il papà, tu, ci sarebbe da ridere. Non sei neppure andato al funerale del tuo di padre e scommetto che non ricordi neppure in quale cronicario di lusso, hai parcheggiato tua madre.

E adesso? Che fai adesso? E se le sfugge qualcosa? Magari non subito, ma tra qualche mese, qualche anno, prima o poi incontrerà un ragazzo, magari si vanta.

“Potrei tornare negli Stati Uniti,” la voce alta suona falsa come il suo proposito, in realtà ha già deciso, gli costa molto, ma la questione va risolta e lui conosce un solo modo per risolverla.

Appoggia il cofanetto di legno sul tavolino ed estrae la Beretta 92, la mitica M9, un vero gioiello, naturalmente quella riservata all’esercito, adottata, particolare non trascurabile, anche dall’esercito degli Usa, a scapito di un altro mito, la Colt 1911. Non riuscì a trattenere un ghigno di soddisfazione, non certo per italico orgoglio; no, era che gli americani, gli stavano proprio sul gozzo.

Rimase quasi sospeso, sembrava ripassare la parte, accertarsi di non aver tralasciato niente. I suoi movimenti erano lenti, quasi incerti, sembrò più volte sul punto di alzarsi, ma cambiò idea, alla radio suonavano Kind of blue  di Miles Davis, accarezzò la pistola, la controllò minuziosamente, se la puntò alla tempia e fece fuoco.

L’ultimo sguardo, mentre premeva il grilletto fu per il piattino delle fragole e il bicchiere di vino. Si accasciò pensando che fragole e champagne fossero un bel modo per accomiatarsi da questo mondo.

 

4 pensiero su “Fragole e Champagne”
  1. Caspita, questo racconto lascia col fiato sospeso fino alla fine (bellissima, tra l’altro!). La descrizione del modo di vestirsi del protagonista, il suo amore per le fragole e la rassegna delle sue abitudini sono dettagli disseminati in modo molto intelligente. Mi sembra che questo racconto sia ben costruito e ci ritrovo il piacere di leggere che si avverte quando si ha in mano il romanzo di qualche grande scrittore (in particolare il protagonista ricorda un parsonaggio di “Romanzo criminale” e questo è un complimento perchè in quel caso i personaggi sono realmente esistiti anche se romanzati, tu hai fatto tutto da solo!) Complimenti!

  2. Grazie, sei davvero attenta, ho letto Romanzo criminale e qualche dettaglio … anche se mentre lo scrivevo, mi ricordava Leon, un film con Jean Reno.

  3. E’ piaciuto molto anche a me, soprattutto la conclusione, che la premessa e il tono iniziale non lasciavano certo presagire.
    E’ stato un piacere leggere.
    Grazie!

  4. Ah è vero a quel film non avevo pensato! Comunque questa è la dimostrazione che leggere e guardare film sono due attività molto utili, oltre che piacevoli!

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